Il libro di Cecilia Moreschi, Teatro, Arte di Felicità (Intra 2025), che per alcune caratteristiche letterarie potremmo catalogare come un saggio, rivela nel titolo una concezione aristotelica del teatro che diviene il filo conduttore di tutta la narrazione. È Aristotele ne La Poetica, che attribuisce al teatro una funzione educativa e soprattutto catartica, ovvero una purificazione emotiva che permette di raggiungere la felicità. Ma all’autrice sta a cuore più che lo spettatore, tanto caro ad Aristotele, l’attore.
Nel saggio della Moreschi l’orizzonte della felicità si amplia e abbraccia i giovanissimi protagonisti della scena. L’avvincente racconto della trentennale esperienza di Cecilia Moreschi ci svela l’incisivo ruolo del teatro nella formazione dei giovani e giovanissimi. Il teatro, una delle forme d’arte più antiche e appassionante, permette di esprimere e gestire emozioni in un contesto incline all’ascolto e quindi al rispetto dell’altro; di superare sfide, ostacoli propri della recitazione; di aumentare l’autostima mentre sviluppa abilità nella comunicazione; di vincere l’innata ritrosia a parlare in pubblico; di integrarsi e partecipare a un progetto comune; di sviluppare empatia.
Il teatro, insiste la Moreschi, completa lo sviluppo della personalità attraverso le interrelazioni e il riconoscimento del ruolo altrui, il prendere coscienza di essere parte di un “unicum” tanto da poter dire: “Io sono perché siamo” ovvero “una persona e’ una persona attraverso altre persone”, così si esprime una filosofia di vita africana che va sotto il nome di Ubuntu. È quello che noi abbiamo sempre chiamato solidarismo, ormai un labile concetto sotto l’incalzare di logiche individualiste che minano, alle basi, l’idea stessa di comunità in un imponente crepuscolo dei nostri tradizionali valori.
Della forza prorompente del teatro nel plasmare i giovani e nel riconoscere a esso una funzione in molti casi salvifica, la Moreschi, con la sua sensibilità, è un indiscusso testimone così come lei stessa racconta in una delle pagine più toccanti del libro: “Con il trascorrere degli anni ho iniziato a far caso al fatto che sempre più persone erano state salvate dall’arte scenica. Adolescenti depressi, bambini iperattivi, vittime di disturbi d’ansia o di limitati tempi attentivi (e molte altre piccole e grandi fragilità) trovavano nel laboratorio teatrale uno spazio-tempo diverso dal loro quotidiano,che non solo li faceva sentire a casa, liberi di esprimersi e giocare, ma che influiva enormemente e in maniera assolutamente positiva su tutto il loro essere”.
È la stessa autrice, citando due famosi ricercatori americani, lo psichiatra Daniel Siegel e lo psicologo Daniel Goleman, a ricordarci che questa capacità dell’arte teatrale di incidere sulla formazione dei giovani, ha un solido fondamento scientifico nella scoperta delle neuro scienze della neuroplasticità del cervello, ovvero di come esso possa essere modellato, plasmato.
Nel suo racconto l’esperienza più completa ed esaltante, che per fortuna continua, è quella all’interno del Centro di Audiofonologopedia. Qui, coadiuvata da valenti e generose logopediste, la Moreschi mette in scena le più belle favole che hanno fatto sognare milioni di individui al mondo. Gli attori sono i bambini e i ragazzi che frequentano il Centro per superare i loro disturbi del linguaggio. Allievi che di fronte ad una folta platea di attenti spettatori vincono le loro ansie, superano le loro esitazioni, si muovono in maniera disinvolta sul palco, recitano!
Arrivano i meritati applausi; la commozione è evidente sul volto dei genitori e dei nonni presenti in sala, e qualche lacrima di gioia brilla nei loro occhi. Un sorriso felice è il premio dei piccoli artisti alle loro ineguagliabili “maestre”.
La sintesi del lungo, infaticabile impegno di Cecilia Moreschi è racchiusa tutta in una frase della prefazione: “… il Teatro Ragazzi non forma giovani attori. Forma persone” alimentando quel sogno, forse un’utopia, di “costruire una società più giusta, rispettosa, attenta agli altri…”.
Così Teatro, Arte di Felicità non è solo il racconto coinvolgente di una lunga esperienza professionale ricca di umanità, intessuta di un contagioso entusiasmo; non contiene soltanto il messaggio di un’arte capace di plasmare nuovi protagonisti di una società migliore; ma è anche un saggio di pedagogia declinata in forma moderna e funzionale, supportato da un solido impianto culturale. È un testo prezioso per cui il nostro grazie a Cecilia è sincero e profondamente sentito.