Discreto, fine, equilibrato lo è sempre stato. La star bionda, emersa nella gloria cinematografica negli anni Sessanta e Settanta, il fondatore del Sundance Festival che ha aperto la strada a giovani talenti, registi come Tarantino, Jarmusch, fresco vincitore al Lido, Nolan, Aronofsky e Soderbergh, ci ha lasciato.
Rivedendo uno dei suoi film più riusciti come attore, La Stangata del 1973, regia di George Roy Hill, dove gioca in coppia con un’altra star magnifica, cioè Paul Newman, a truffare un altro imbroglione nella Chicago degli Anni Trenta, si resta colpiti dalla modernità di una interpretazione elegante, gli occhi azzurri sottilmente ironici, parlanti, la recitazione mai egocentrica, la capacità di lavorare egregiamente in coppia.
Forse è anche questo uno degli aspetti più fascinosi dell’uomo e dell’artista Redford: l’equilibrio. Anche quando girò con Jane Fonda, bellissima e trascinante, A piedi nudi nel parco, commedia brillante tagliata appositamente per i due, nel 1967, il “duetto” funzionava benissimo. Forse perché lei era innamorata di lui – come ha rivelato –? (lui, a quanto pare, no). Pure quando gira con Barbra Streisand nel 1973 (regia di Sidney Pollack) Come eravamo, nostalgia di una Ameria oggi scomparsa, o quando con Meryl Streep lavora in La mia Africa nel 1985, sempre diretto da Pollack, Robert non gigioneggia, rimane affascinante nella misura, nella personalità, nell’equilibrio con l’attrice.
In realtà l’uomo e il regista era un rivoluzionario. Da ragazzo, persa la madre, aveva girato per l’Europa e l’Italia, voleva fare il pittore. Poi, è la recitazione a prenderlo e lentamente, ma inesorabilmente, si fa strada fino al successo degli anni Sessanta e Settanta dove diventa l’icona maschile del cinema americano dopo star violente come Charles Bronson o Steve McQueen. Non era un tipo alla Clint Eastwood, dunque.
Sapeva dire la sua. Ecologista impegnato, difensore dei nativi americani, sinceramente democratico, Robert lavorava come attore e regista, presentando nei film le sue idee. Per nulla hollywoodiano, si è inventato, portandolo avanti pure a sue spese, nel suo stato, l’Utah dove è morto, il Festival Sundance, oggi uno dei migliori al mondo, aperto ai giovani.
Redford ha detto molto nei suoi film: lo scandalo politico nel thriller I tre giorni del Condor, un inno alla natura e ai nativi in un anti-western come L’uomo che sussurrava ai cavalli, o Leoni per agnelli (2007), antimilitarista, pessimista e con un filo di speranza sulla illusione della gloria militare.
Ma la star che ha conosciuto il dolore – la morte precoce di due dei quattro figli – è stata capace di dirigere film come Gente comune (1981, primo Oscar) dove affronta proprio il tema della perdita dei figli, in modo tenero e straziante al tempo stesso.
È un sentimento di profonda umanità. Quella che senza eccedere, chiara tuttavia, vera, ha mosso le sue opere, anche quelle leggere: un cinema autentico, limpido, aperto, e teso all’attualità, che ci mancherà. Premiato con due Oscar e una quantità di riconoscimenti. Uno dei migliori personaggi dell’arte del cinema negli Usa.