Armi italiane nel conflitto di Gaza

Finmeccanica consegna aerei militari ad Israele. La denuncia di Rete disarmo che richiede l’applicazione della legge sull’export di armi nei Paesi in guerra. Per “restare umani”
Aermacchi

La Francia di Hollande è fortemente accusata, in Europa, perché sta vendendo navi militari alla Russia nel mezzo delle tensioni di Putin con l’Ucraina. Da un conflitto orrendo ad un altro, Giancarlo Elia Valori, manager e docente in università cinesi e israeliane, denuncia la «fabbricazione siriana e progettazione cinese» dei missili lanciati dalla fazione palestinese di Hamas che ne avrebbe in dotazione oltre 10 mila esemplari M-302. Altri 100 mila missili Fajr sono arrivati dall’Iran e rappresentano una minaccia ancora più insidiosa per la loro gittata di 75 chilometri.

Esperti di finanza sanno individuare la provenienza dell’abbondante flusso di denaro che va ad alimentare il potenziale distruttivo delle armi per strategie di doppio e triplo gioco di difficile interpretazione. In tale contesto sfugge alla comprensione della logica seguita dall’Italia che, come dichiara Rete disarmo, «è oggi il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele» tanto che «proprio durante i raid aerei israeliani su Gaza l'azienda Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica ha inviato i primi due aerei addestratori M-346 alla Forza Aerea israeliana».

Finmeccanica è un grande gruppo industriale controllato dallo Stato che nomina i suoi vertici come il nuovo amministrazione delegato, Mauro Moretti, ex a.d. delle Ferrovie, scelto dal governo Renzi. La fornitura all’esercito di Tel Aviv di velivoli addestratori, adatti anche ad azioni dirette di guerra, risale all’epoca del governo di Mario Monti nell’ambito, come riporta una nota dell’agenzia Ansa del 2012, del «salto di qualità» nella cooperazione tra rapporti «già eccellenti tra i due Paesi». L’intera operazione commerciale, assistita dalla banca Unicredito, sta avvenendo, secondo Rete Disarmo, «in aperto contrasto con la legislazione nazionale relativa all'export di armamenti, che prevede, proprio nel suo primo articolo fondamentale, l’impossibilità di fornire armamenti a Paesi in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani».

Dall’ordinazione alla prima consegna degli armamenti è stata costante la contestazione delle reti civili contro la guerra nel territorio di Varese, dove si concentra la produzione Aermacchi e dove negli anni Ottanta si sono registrate le prime obiezioni di coscienza dei lavoratori alla produzione delle armi. Una presa di posizione pagata duramente dagli interessati, come Elio Pagani, Marco Tamborrini e altri, ma che facilitò l’approvazione della 185 del 1990 sul controllo della vendita delle armi nei Paesi in guerra

Ancora recentemente hanno organizzato presso i padri missionari Comboniani di Venegono, nel varesotto, non solo contestazioni pubbliche ma un momento di riflessione dal titolo adeguato all’orrore con cui vediamo, oggi, le immagini dello strazio che arrivano da Gaza: «Armi, guerra, Territorio, dobbiamo per forza fabbricare armi, fare guerre, uccidere o abbiamo il diritto di vivere pacificamente e di restare umani?".

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