America Latina, tre elezioni con tensioni e sorprese

Dopo campagne elettorali di tenore molto diverso, Argentina, Ecuador e Guatemala hanno scelto i loro candidati presidenziali, contendenti al ballottaggio e presidenti della Repubblica. I risultati evidenziano una crescente disaffezione dalla politica (Argentina), l’intolleranza verso la corruzione sistemica (Guatemala) e la ribellione verso il crescente potere del narcotraffico, che ha assassinato un candidato (Ecuador). La preoccupazione per l’aumento della delinquenza e per la sua crescente violenza è il denominatore comune  
Bernardo Arevalo (AP Photo/Moises Castillo)

Tre elezioni nazionali si sono svolte in America Latina tra il 13 e il 20 agosto. Il Guatemala ha scelto come presidente il progressista Bernardo Arévalo; l’Ecuador ha promosso al ballottaggio la candidata dell’ex presidente Correa, Luisa González, e il giovane imprenditore Daniel Noboa, figlio di un multimilionario esportatore di banane; mentre in Argentina le primarie hanno visto il trionfo dell’antisistema, l’indipendente di estrema destra Javier Milei, mentre il peronismo, lo storico movimento asse della politica e del sindacalismo del presidente Fernández e dei Kirchner, oggi al governo, sprofonda in una crisi senza precedenti.

 

In Guatemala, pochi credevano che Arévalo potesse farcela. I sondaggi lo situavano tra il quarto e il settimo posto. Quando cominciavano a cristallizzarsi le sue possibilità di vittoria, il braccio giudiziario del sistema di potere, che allea settori della politica, dell’imprenditoria e del crimine organizzato, aveva annullato la sua candidatura, poi salvata dalle proteste popolari e della comunità nazionale e internazionale.

Figlio nato nell’esilio del presidente Juan José Arévalo (1945-51), il presidente eletto è diplomatico, politico, consultore in processi di pace in conflitti internazionali, sociologo e scrittore.

È il primo progressista (moderato) che governerà il Paese centroamericano. Avrà l’arduo compito di ricostruire la fiducia verso le istituzioni (l’affluenza al voto è stata del 45%) realizzando le promesse di combattere la corruzione in modo sistemico, di migliorare il sistema sanitario ed eliminare il gravissimo problema della denutrizione infantile, oltre a creare lavoro e sviluppo per una cittadinanza troppo spesso costretta ad emigrare verso il nord. Il partito Semilla che l’ha portato al governo e del quale è leader, è nato nel 2015 nel contesto delle manifestazioni che esigevano le dimissioni del presidente Otto Pérez Molina, accusato di frode e corruzione, ora in carcere.

 

Anche in Ecuador la crescente violenza e l’emigrazione da record hanno contrassegnato prima la campagna e poi la giornata elettorale. Qui, però, invece della persecuzione e dell’inabilitazione giudiziaria utilizzata in Guatemala, l’arma politica per sbarazzarsi dei candidati scomodi è stata l’eliminazione fisica. Otto esponenti politici di diverse tendenze sono stati assassinati negli ultimi dodici mesi. Spiccano lo stimatissimo sindaco di Manta, Agustín Intriago, e il candidato favorito Fernando Villavicencio, il cui attentato, due settimane prima delle elezioni, ha completamente sconvolto le previsioni.

Inizialmente sostenitore di Rafael Correa e poi suo acerrimo critico, da giornalista Villavicencio aveva denunciato episodi di corruzione di Correa e del suo successore nell’assegnazione di contratti per l’estrazione petrolifera, per i quali Correa è stato condannato in contumacia (si trova tuttora in Belgio). Villavicencio stesso era stato condannato a 18 mesi di carcere ed a un’ingente multa per diffamazione dell’ex presidente, ma era fuggito prima in Perù e poi nella selva amazzonica equadoriana. Ex funzionario e sindacalista dell’ente petrolifero nazionale, Villavicencio conosceva bene il settore e la corruzione ad esso legata.

Secondo gli analisti, la sua scomparsa violenta ha frenato la possibile vittoria al primo turno della candidata correista Luisa González, perché l’opinione pubblica ha subito attribuito al movimento da lei rappresentato l’assassinio di Villavicencio. Ma non è chiaro neppure il ruolo del partito dell’attuale presidente Lasso, per il quale si sta investigando una possibile negligenza nella protezione di un candidato più volte minacciato di morte e con la scorta della Polizia: il veicolo sul quale stava salendo al momento del triplo sparo alla testa non era infatti blindato. Altri accusano elementi delle Forze Armate conniventi con il narcotraffico.

Il suo sostituito, il collega e amico Christian Zurita, ha ricevuto a sorpresa il 16 % dei voti e si è posizionato al terzo posto, appena fuori dalla possibilità di ballottaggio. È il risultato di una sorta di “voto emotivo” e solidale. Una reazione di ribellione. Per la politologa Gabriella Guerrero, “la morte di Villavicencio ha provocato un’alta affluenza alle urne (82%, NdR) come rifiuto alla situazione attuale, ed ha permesso a Zurita un consenso elevato”. L’alleanza che lo ha sostenuto sarà la seconda forza nel nuovo Parlamento.

L’altra sorpresa non prevista dai sondaggi è stata Daniel Noboa. La sua pacatezza nella formulazione delle proposte si è rivelata vincente, ed ora ha grandi probabilità di vittoria al secondo turno, poiché con tutta probabilità raccoglierà il voto anticorreista e il sostegno dei partiti anticorreisti.

 

In un’Argentina stanca, nella quale la capacità di spesa è in caduta libera e l’inflazione alle stelle, la povertà tocca il 40 % e la crescente violenza allarma la popolazione, pare che le primarie del 13 agosto scorso abbiano incredibilmente risolto il problema della “grieta” (il crepaccio), l’insostenibile polarizzazione tra kirchnerismo e antikirchnerismo: Javier Milei, il “Bolsonaro argentino”, ha sconfitto entrambi. È la prima volta che un candidato al di fuori dal sistema dei partiti risulta il più votato.

Javier Milei, la sbraitante rockstar, il “leone” (per la sua capigliatura) antisistema, autodefinitosi anarco-libertario, ha raccolto il 30 % dei consensi, contro il 28 % della coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio e il 27 % del peronismo ufficiale: il peggior risultato di sempre, nell’elezione con la minore partecipazione dopo il ritorno della democrazia (69% di affluenza con il voto teoricamente obbligatorio). La moneta argentina, il peso, si è immediatamente svalutato del 20%.

Chiudere la Banca Centrale, dollarizzare l’economia e sopprimere tutte le funzioni dello Stato salvo la sicurezza e la giustizia: sono solo alcune delle bizzarre proposte di Milei, economista, docente e conduttore.

Milei, 52 anni, è antiabortista ma favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, alla legalizzazione della marijuana e alla liberalizzazione del possesso di armi, sostenuto in questo dalla sua candidata a vicepresidente, Victoria Villarruel, che mette in dubbio l’esistenza del terrorismo di stato che tanto dolore e desaparecidos ha prodotto.

Milei propone di eliminare l’istruzione obbligatoria (un voucher per figlio a chi sceglie la scolarità, tra le varie iniziative che hanno raccolto l’unanime rigetto di tutte le altre formazioni politiche).

Con un’abile comunicazione mediatica (come i suoi modelli di riferimento: Trump e Bolsonaro), Milei è riuscito a raccogliere il consenso di settori della popolazione a lungo restii o apatici verso la politica e le istituzioni, come i giovani di classe medio-bassa senza opportunità, e lavoratori precari.

In una società un tempo ugualitaria, ma sempre più disuguale, troppe persone dalle attese frustrate sostengono che è ora di mandare a casa la “casta politica parassitaria, ladra e inutile di questo Paese”.

Pochi giorni prima delle primarie una ragazza undicenne è morta mentre andava a scuola, vittima di due giovani che le hanno rubato il cellulare e l’hanno spinta violentemente a terra. La mano dura che promette Milei in situazioni come questa è parsa a chi l’ha votato l’unica soluzione alla violenza. Sulle reali possibilità di vittoria nelle elezioni del 22 di ottobre, ed eventualmente al ballottaggio del 19 novembre, le opinioni discordano.

Con i numeri attuali, Milei “il leone” dovrebbe rimangiarsi molte sue affermazioni e negoziare con altri partiti per poter governare, dato che raggiunge appena un terzo del numero di deputati necessario per la validità delle sessioni parlamentari. Una vittoria della candidata di centrodestra Patricia Bullrich appare più probabile.

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