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Italia > In punta di penna

Alle radici della guerra ucraina

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Anna Politkovskaja denuncia il regime putiniano, Noam Chomsky evidenzia le responsabilità occidentali, Tim Marshall apre la mappa che spiega come la guerra è scoppiata. Spesso i libri spiegano molto

Mentre si discetta di fosse comuni, di acciaierie-trappola, di vittorie prossime venture, di difficili rapporti tra diverse Chiese cristiane, mentre si continua a morire per una terra ricca e un sottosuolo prezioso, cresce la domanda di senso: perché mai l’umanità europea (e oltre) ha finito con l’imbracciare di nuovo le armi per un territorio situato nel continente che pretendeva di aver trovato la ricetta della pace?

Lato Russia, val la pena di lasciar la parola ad una martire del giornalismo d’inchiesta, quella Anna Politkovskaja che aveva messo il naso nelle faccende che legavano lo zar Putin e Kadyrov, reuccio di Cecenia, tornato d’attualità perché depositario della missione di uccidere il presidente ucraino Zelensky (beninteso, secondo fonti occidentali): fu uccisa il 7 ottobre 2006. Nel 2004, la Politkovskaja aveva pubblicato un libro intitolato semplicemente La Russia di Putin (Adelphi 2005). Alla pagina 158 si legge quanto segue, a proposito dei cambiamenti avvenuti in Russia con la caduta del socialismo reale: «Il terzo salto mortale è stato quello di e con Putin. Sullo sfondo la nuova tappa di un capitalismo dal volto neo-sovietico, un modello economico sui generis dell’era del secondo presidente russo, un ibrido bizzarro tra leggi di mercato, dogma ideologico e molto altro ancora. Gli ingredienti sono forti capitali, un’ideologia di taglio marcatamente sovietico posta al loro servizio, e un numero crescente di poveri. Fu subito chiaro, inoltre, che un vecchio ceto stava rinascendo a nuova vita: la nomenklatura, l’élite di governo, un anello fortissimo della catena di potere dell’era sovietica che stava marciando sui binari di un’economia a cui aveva saputo adattarsi in un batter d’occhio… Perdono molto tempo ad aggirare la legalità e l’ordine costituito in favore del proprio arricchimento personale… La nomenklatura è rosa da una forte nostalgia per l’Urss, per i suoi miti e i suoi fantasmi». 18 anni dopo si coglie la dimensione profetica delle parole della Politkovskaja: il capitalismo oligarchico russo è tra i più spietati del mondo, corrotto e corruttore, mentre la nostalgia per il sovietismo espansionista fa il resto.

Lato Stati Uniti, ecco giungere puntuale sul mercato un libro intervista con Noam Chomsky, vate della sinistra antisistema Usa, un linguista divenuto acerrimo nemico della destra repubblicana, spesso non poco ideologica, ma comunque capace di mettere il dito nelle piaghe delle nefandezze dell’imperialismo a stelle e strisce e della mai tramontata voglia di essere “il gendarme del mondo” dopo la caduta del Muro di Berlino. In Perché l’Ucraina (Ponte alle Grazie 2022), si legge: «Se la crisi ucraina trovasse una soluzione pacifica, sarebbe un affare tutto europeo, rompendo con la concezione “atlantista” postbellica che vede gli Stati Uniti saldamente al posto di guida» (p. 38). Ancora: «Questa crisi ribolliva da almeno 25 anni, mentre contemporaneamente gli Stati Uniti ignoravano sdegnosamente gli allarmi della Russia in merito alla propria sicurezza, e in particolare in merito alle loro linee invalicabili: la Georgia e ancor più l’Ucraina» (p. 78). Infine: «Dobbiamo anche rilevare che la maggior parte del mondo si tiene a distanza del terribile spettacolo in scena in Europa» (p. 114). Come a dire, Putin ha avuto torto marcio a invadere l’Ucraina, ma dalla caduta del Muro di Berlino stava lanciando segnali sull’intoccabilità di alcune linee che proteggevano la sua integrità territoriale.

Infine, Tim Marshall, noto per le sue letture delle mappe geopolitiche, precisa in Russia e Ucraina. La mappa che spiega la guerra (Garzanti 2022) il meccanismo giuridico che ha permesso a Putin di aprire la sua “operazione speciale” in Ucraina: nel 2014, «sulle ali della vittoria, il nuovo governo ucraino aveva fatto alcune affermazioni incaute, tra cui l’intenzione di abolire il russo come seconda lingua ufficiale in diverse regioni… Il Cremlino può avvalersi di una legge che obbliga il governo a tutelare “i cittadini di etnia russa”. È un’espressione strutturalmente difficile da definire, perché la Russia l’applicherà a suo uso e consumo in ciascuna delle crisi che potrebbero scoppiare nell’ex Unione Sovietica. Quando farà comodo al Cremlino, i cittadini di etnia russa verranno definiti semplicemente come persone la cui prima lingua è il russo. Altre volte si userà la nuova legge sulla cittadinanza, la quale stabilisce che se i tuoi nonni vivevano in Russia e il russo è la tua lingua madre, puoi prendere la cittadinanza russa. Mosca avrà una buona scusa per entrare in guerra» (pp. 37-38). È stato questo il meccanismo che ha permesso alla Russia di riprendersi la Crimea, con il porto di Sebastopoli, unico vero porto “in acque calde” di Mosca, e di avviare la presunta indipendenza dei territori di Lugansk e Donetsk nel Donbass.

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