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Aldo Moro, l’arte del dialogo estremo

di Silvio Minnetti

- Fonte: Città Nuova

Un invito a conoscere meglio Aldo Moro che descriveva l’ispirazione cristiana in politica come “Principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale”. Perché, a 43 anni dal suo martirio, Moro rimane una figura tra le più rilevanti della democrazia italiana. Uno stimolo permanente anche oggi per la seconda Ricostruzione della Repubblica dei partiti, del Paese in crisi tra populismi diversi, corruzione e carenza di classe dirigente

Aldo Moro,concessione Archivio Flamigni

Il 9 maggio 1978, dopo il sequestro e l’uccisione degli uomini della sua scorta il 16 marzo precedente, è stato assassinato Aldo Moro, politico, statista e giurista italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e segretario politico della Democrazia cristiana.

Il magistrato Ferdinando Imposimato che ha seguito il caso, ha affermato, «ci fu un interesse convergente tra Est ed Ovest nel contrastare il disegno di Moro incentrato sul compromesso storico. Entrambi vedevano minacciate le loro certezze di dominio territoriale e politico fondate sulla contrapposizione dei blocchi e sulla spartizione del mondo in due imperi».

Moro appare oggi agli storici come l’uomo politico che è riuscito ad interpretare, meglio di altri, un aspetto importante della Costituzione: la capacità di mediazione e di collaborazione tra culture politiche lontane.

Dopo Moro e la morte prematura di Berlinguer, finiscono infatti i governi di unità nazionale e lo spirito di collaborazione   tra la cultura cattolico- democratica e quella che si rifaceva al comunismo atipico italiano ed al partito di Azione, in un mondo spaccato tra Est ed Ovest.

Che cosa personificava Moro? L’intelligenza del dialogo alto fino al compromesso storico per la cooperazione tra culture politiche fondamentali e lontane ma che avevano liberato insieme il Paese dal nazifascismo con gli Alleati. L’azione di Moro aveva però due ostacoli: la resistenza da estrema destra, e negli apparati deviati dello Stato, alla liberazione antifascista e la Guerra fredda.

Moro, come avrebbero affermato i suoi amici, subito dopo il rapimento, era stato condannato a morte dalle contrapposizioni Urss-Usa e dai ritardi rispetto all’ evoluzione democratica del PCI in Pds, Ds, della Dc in PPI, Margherita e poi insieme in PD. Questo nuovo soggetto politico, erede delle tradizioni riformiste e progressiste del Novecento, nascerà solo nel 2008 con un ritardo di 30 anni.

In Moro troviamo la forma politica assunta dal dialogo estremo. È una figura controversa nella coscienza storica italiana e del cattolicesimo. Un personaggio complesso, non solo politico di professione ma al contempo, educatore di giovani universitari, uomo del dialogo, sposo e padre tenerissimo.

Intellettuale e credente, formato in AC e FUCI, alla mediazione con la cultura contemporanea e con la ragione. Lui stesso ha definito l’ispirazione cristiana in politica come: “Principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale”.

È stato con questa robusta ispirazione, un costituente lungimirante del primo “compromesso storico”, quello della Costituzione italiana nel 1946-47. Prudente leader politico della mediazione tra avversari, mai nemici.

Giovane “professorino” portò nella Costituzione il personalismo. Con l’articolo 3 dell’eguaglianza formale e sostanziale, del “pieno sviluppo della personalità” di ogni cittadino, portò ad incontrasi ideologie molto lontane: liberali, socialisti, comunisti, democratici cristiani, conservatori.

In che cosa è consistita la sua mediazione? Nel costruire un canale di riconoscimento reciproco, in una evoluzione progressiva di appartenenza allo stesso sistema democratico, dopo 20 anni di dittatura fascista.

Nella Dc riuscì a destreggiarsi tra Dossetti e De Gasperi, tra un approccio programmatico per uno stato democratico e sociale avanzato e la moderazione necessaria per trainare gran parte dell’elettorato conservatore DC dinnescando il rischio della crescita di una estrema destra con pulsioni antidemocratiche.

Ecco il ventennio, 1959-1978, di centralità di Moro nella storia politica italiana. Fu uno statista nel quadro di una “democrazia difficile”. Non fu facile infatti mediare nel fare riforme necessarie come la scuola media unica, la nazionalizzazione dell’Enel, l’apertura della Rai di Bernabei alla cultura contemporanea.

Tutto questo in “un tintinnar di sciabole” con il generale De Lorenzo, ai tempi del Presidente Segni nel 1964, la strategia della tensione, le stragi del 1969 ed anni 70. Di fronte a queste fratture sociali, Moro propose agli avversari politici la “solidarietà nazionale”, mentre Berlinguer invocava su Rinascita, il nuovo “compromesso storico.

Un punto alto di mediazione, ancora, tra un PCI che cresceva nel 1975 ed una DC e PSI divisi al loro interno. Non erano solo formule politiche ma la proposta di una terza fase della politica italiana nel rapporto con il PCI, dopo centrismo e centrosinistra.

La mediazione con il PCI, frenato dall’Urss e dagli Usa, nel suo ingresso al Governo, era possibile però nelle riforme strutturali in Parlamento, come quella del sistema sanitario nazionale del 1978.

Moro lavorò per l’ingresso del PCI in maggioranza, ma non con ministri, nel governo Andreotti. Fu la sua condanna a morte lo stesso giorno in cui si recava in Parlamento per la fiducia, dopo le minacce di Kissinger e la nascita delle Brigate Rosse.

Il carcere BR, il processo politico, le lettere di Moro hanno rivelato poi un volto umano di uno sposo cristiano e padre tenerissimo nelle contraddizioni della politica e della storia.

Dopo 43 anni dal suo martirio, Moro rimane una figura tra le più rilevanti della democrazia italiana. Uno stimolo permanente anche oggi per la seconda Ricostruzione della Repubblica dei partiti, del Paese in crisi tra populismi diversi, corruzione e carenza di classe dirigente.

Egli ci ricorda oggi, di fronte alla complessità della politica in un “mondo liquido”, la forza del ragionamento rispetto agli spot semplificatori ed alla propaganda aggressiva, del dialogo necessario tra forze politiche diverse, che devono trovare però, dopo il governo di emergenza Draghi, un idem sentire per il bene comune, in una normale democrazia dell’alternanza.

Gli italiani hanno il diritto di scegliere nel 2023, con una legge elettorale condivisa e corretta, tra un centrodestra europeista, conservatore, liberale ed antifascista e d un centrosinistra riformista, progressista, ecologista, pienamente liberaldemocratico, unito, saldamente ancorato all’Europa. Sarà solo allora attuato il sogno di Aldo Moro, la terza fase della democrazia italiana, in un Paese normale dell’Occidente.

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