Albert Camus: una sfida per i credenti

Il suo pensiero, sempre attuale, costituisce una fonte di riflessioni stimolanti per tutti.
Albert Camus

Avevo 16 anni. Mi rivedo in quel pomeriggio di febbraio aprire un libro dal titolo enigmatico, La caduta, di Albert Camus. L’avevo preso in prestito un po’ a caso nella biblioteca del mio quartiere. Credo di essere rimasta immobile l’intero pomeriggio, affascinata, trattenendo il respiro, esitante tra il fermarmi per ricopiare alcune pagine o finir di leggere avidamente per capire se si trattava di un miraggio o se rispondeva veramente, come mi pareva, ad una sete profonda. Da quel libro emanava una luce oscura, o piuttosto un’oscurità luminosa che mi promettevo di forare presto o tardi. Nei giorni seguenti, ho ricopiato nel mio diario brani interi, che rileggevo poi con stupore, sicché li sapevo a memoria.

Ebbi l’occasione di approfondire la mia amicizia-dialogo con l’autore alcuni anni più tardi quando, dovendo scegliere un tema per la tesi in teologia, fui attirata da una ricerca sull’ateismo. Camus m’interpellava: come mai aveva negato Dio? Quale Dio aveva negato?

 

L’assurdo

 

Secondo lui, la verità non può essere trovata altro che negli opposti, nei binomi bene-male, fuga del tempo (la morte) e aspetti duraturi, spezzettamento della realtà e tensione all’unità. Camus rifiuta l’atteggiamento facile di conciliarli con l’idea di Dio. È la fase dell’assurdo. Però quel Dio non è il Dio dei cristiani, il quale, lungi dall’abolire gli opposti, si è fatto egli stesso contraddizione.

Nella fase seguente della rivolta, lo scrittore rifiuta Dio perché diminuisce la libertà e la dignità dell’uomo, annientando la sua autonomia (La peste), e invoca un santo senza Dio. È una parodia di Dio e lui, in fondo, lo sa. Il Dio che cerca è il Dio de La caduta.

Romanziere, regista per il teatro, saggista, giornalista, filosofo, premio Nobel per la letteratura a 44 anni, Albert Camus deve la sua carriera alla benevolenza attenta di un suo maestro delle elementari. Figlio d’immigrati, orfano di guerra sempre «alla ricerca del padre», bambino della banlieue popolare di Algeri, bianco tra gli arabi, vive sulla sua pelle il dramma della guerra d’Algeria: dalla sua opera scaturiscono vita e luce, ma anche l’impegno per scoprire un cammino di verità in mezzo agli aspetti contradditori dell’esistenza.

 

Poter amare

 

Pianificando la sua opera, Camus aveva detto che, dopo le fasi dell’assurdo e della rivolta, si sarebbe orientato al tema dell’amore. Nel libro La caduta, Camus rivela una particolare sensibilità al gioco indissociabile dell’individuale e del collettivo. Non sono assenti, certo, dei prodromi di questo rapporto nelle precedenti opere: ne L’uomo in rivolta, l’individuo si realizza solo vivendo per la comunità, una comunità umana universale da dove nessuno viene escluso. Si realizza quindi vivendo per l’unità di tutti gli uomini. Però questo implica un amore autentico, pregno di gratuità e dono di sé.

Il personaggio de La caduta, Clamence, si accorge però della sua incapacità al riguardo: quando la vera gratuità gli viene richiesta, egli inciampa. In quel momento, prende coscienza che il suo sedicente amore non è stato, finora, che ricerca di sé.

Eppure Clamence non può ritirarsi in uno «splendido isolamento», deve per forza ritrovare una certa «solidarietà». La troverà in negativo, perché diventa «giudice-penitente», estendendo agli altri il giudizio, unico mezzo per sgravarselo da dosso: accusa gli altri perché gli altri si accusino. Tenta cioè di trascinare altri uomini nella presa di coscienza della loro caduta, sicuramente non molto diversa dalla sua: condividendo la sua infelicità, troverà forse la via della felicità.

Clamence non può fare a meno della solidarietà. Ma imposta il rapporto individuo-comunità in modo totalmente perverso, sfruttando la comunità umana per sé stesso. Sa, però, di aver edificato una solidarietà sbagliata che gli dà solo l’illusione della felicità, giacché la vera solidarietà, quella che richiede l’amore vero, gli è impossibile. L’amore vero, infatti, richiede un trascendente e si riceve. È dunque in questa possibilità di darsi per costruire la comunità, nel giusto rapporto tra individuale e collettivo, che si colloca la dimensione trascendente che si chiama Dio. La salvezza è poter amare.

 

Sofferenza

 

Non sorprende allora che Camus, avendo avuto l’intuizione della presenza del divino nell’amore di donazione, abbia capito la forza della sofferenza. Ne ha fatto esperienza durante l’infanzia, contemplando sua madre silenziosa, analfabeta, sorda, quasi muta. Eppure, paradossalmente, questa madre, che è l’immagine viva di spogliazione, vuoto e dipendenza, gli rivela una forza che libera in lui la capacità di amare e vivere la vera vita.

Negli appunti del suo libro autobiografico, postumo, Il primo uomo, scrive: «La madre è Cristo». Il vuoto (kenosi) che esprime con il suo essere lo attira come una calamita, gli rivela il senso della vita e lo chiama ad agire per la giustizia. Ritroviamo questo «vuoto» creatore di senso in espressioni come: «La sofferenza è un foro (¼) e la (¼) luce viene in quel foro, sì». Né “attraverso”, né “da” quel buco, ma dentro.

L’opera di Camus è una sfida che stimola il cristiano a purificare costantemente, nel contatto con la Parola, le sue finte rappresentazioni di Dio, per rendere ragione della speranza che è in lui.

 

 

Le parole di Camus

 

«Sono meno le conclusioni identiche, che determinano la parentela delle intelligenze, che le contraddizioni che sono loro comuni» (Opere, Bompiani, Milano, 1969, p. 107).

 

«Niente di ciò che costringe ad escludere è vero» (Ibid, p. 307).

 

«Come si fa ad essere un altro? Impossibile. Bisognerebbe non essere più nessuno, dimenticarsi per qualcuno, almeno una volta. Ma come?» (La chute, in Théâtre, Récits, Nouvelles, Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1967, p. 467).

 

«Senta, mi hanno parlato di un tale a cui avevano messo un amico in prigione. Ogni sera si coricava sul pavimento della sua stanza per non godere una comodità che era stata tolta a colui che amava. Chi dormirebbe sul pavimento per noi? E io, ne sarei capace? Ascolti, vorrei esserne capace, lo sarò. Sì, lo saremo tutti un giorno e sarà la salvezza» (La chute, cit. p. 401).

 

«Metterò al centro di quell’opera [futura] l’ammirevole silenzio di una madre e lo sforzo di un uomo per ritrovare una giustizia o un amore che equilibri quel silenzio» (Opere, cit. p. 167).

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