Colpito il 10 ottobre 2022 dall’onda d’urto di un missile (finestre e vetrine distrutte, tetto in vetro crollato), il Museo Khanenko di Kiev è rimasto un’istituzione vuota ma attiva: spettacoli, poesia, conferenze per adulti e bambini, laboratori di sostegno psicologico condotti con il vicino ospedale. Alcuni frammenti della vetrata sono stati incastonati in spille da un orafo, un’economia simbolica della resistenza. Fin dall’inizio dell’aggressione russa (il 24 febbraio 2022), le ricche collezioni di arte bizantina, islamica, asiatica ed europea del Museo Nazionale delle Arti Bohdan e Varvara Khanenko di Kiev, importante luogo di riferimento del collezionismo privato europeo intorno al 1900, sono state messe al sicuro, alcune inviate al Louvre, a Vilnius, a Varsavia e all’Aja.
Tre anni dopo l’attacco, il 9 ottobre 2025, il Khanenko ha inaugurato Africa: Direct, una mostra che occupa gli spazi del museo e raccoglie una quarantina di opere provenienti da 18 paesi africani, riunite durante due decenni da Tetiana Deshko e Andriy Klepikov, da tempo impegnati nella sanità pubblica in Africa (Alliance for Public Health). Il percorso espositivo associa oggetti storici e opere contemporanee (Adelaide Damoah, Christian Nyampeta, Seyni Awa Camara, Esther Mahlangu) e «si presenta esplicitamente come un esercizio di riconfigurazione intellettuale», dicono i curatori, per «imparare a guardare il continente africano senza mediazioni ereditate (sovietiche o occidentali), a interrogare i racconti dominanti e imperiali, a ripensare le condizioni di produzione del sapere all’interno dei musei».
Il recente interesse per i manufatti africani
Secondo gli esperti, la crescente domanda globale di arte africana e il maggiore accesso digitale sono influenzati da due fattori principali: il movimento di rimpatrio e l’impennata del mercato dell’arte contemporanea.
Nello stesso tempo, il mercato globale dell’arte africana sta vivendo una notevole espansione, sostenuta da nuovi collezionisti e dall’interesse verso artisti le cui opere sono considerate sia culturalmente significative che un investimento proficuo.
Tuttavia, si potrebbe argomentare che anche questo fenomeno abbia una sua storia. Cinquantacinque anni fa (nel 1975), al ghanese Nii Kwate Owoo, che era allora studente alla London Film School, fu concesso l’accesso ai magazzini del celebre British Museum di Londra. Il risultato fu You Hide Me (“Mi nascondi”), un filmato di 40 minuti che ritrae Owoo e il suo collega mentre scoprono un’enorme quantità di oggetti di provenienza coloniale nascosti nel seminterrato dell’istituzione, rovistando tra borse e armadietti e mostrando alla telecamera opere d’arte che spaziano dalle maschere ai gioielli.
Il film si conclude con un messaggio chiaro: «Noi, popolo africano e di origine africana, chiediamo che le nostre opere d’arte, che incarnano la nostra storia, la nostra civiltà, la nostra religione e la nostra cultura, ci siano restituite immediatamente e incondizionatamente».
Cinque decenni dopo, questa richiesta è più che mai attuale. Il British Museum, protagonista del film allora controverso di Owoo, conserva ancora 69 mila reperti africani nella sua collezione. E questa è solo la punta dell’iceberg.

Placca in ottone del Benin (ca. XVI–XVII sec.) raffigurante l’Oba durante il sacrificio dei leopardi. Saccheggiata nel 1897, oggi al British Museum (donazione 1898). Foto: © Mike Peel by Wikimedia Commons.
I fantasmi stanno tornando
Nel marzo 2023, lo spettacolo musicale The ghosts are returning affronta la storia di 7 scheletri pigmei del popolo mbuti del Congo, portati in Svizzera nel 1952 da un medico e depositati all’università di Ginevra per scopi di ricerca. Lo spettacolo, realizzato dal gruppo GROUP50:50, coinvolge artisti provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla Svizzera e dalla Germania, i quali cercano i discendenti dei 7 scheletri e invocano un rituale per il ritorno degli spiriti. The ghosts are returning si inserisce in un movimento internazionale di attivisti, artisti e politici che chiedono la restituzione di numerosi manufatti e opere d’arte africane, saccheggiati durante il periodo coloniale, e ancora oggi gelosamente conservati in musei e università europee.
La Nigeria e la Germania hanno recentemente firmato un accordo per la restituzione di centinaia di Bronzi del Benin. La Francia ha restituito al Benin 26 manufatti noti come i Tesori di Abomey. Alcune istituzioni sono più disposte a collaborare rispetto ad altre; ad esempio, l’università di Cambridge è in trattativa con i funzionari ugandesi, mentre il British Museum è considerato più difficile da coinvolgere, secondo quanto riportato. Il movimento è visto come un modo per rivendicare la storia e l’identità, anche se molti oggetti rimangono in Europa e in altri paesi occidentali.
Ricostruire e risanare le comunità
Africa: Direct dà la possibilità di apprezzare l’arte e il patrimonio culturale come un linguaggio universale capace di superare le nostre barriere culturali, permettendoci di “incontrarci” attraverso le esperienze umane che condividiamo.
La speranza è che il processo di restituzione delle opere d’arte contribuisca a promuovere una cultura dell’incontro tra i popoli, utilizzando i patrimoni culturali come forza unificante per ridurre la sfiducia e mitigare i conflitti; che le arti possano raccontare storie di resilienza e speranza, influenzando la percezione delle comunità riguardo ai conflitti e favorendo la guarigione; che il patrimonio culturale sia un elemento essenziale dell’identità, aiutando individui e comunità a immaginare un futuro pacifico, affrontando le sfide immediate e promuovendo il rispetto dei diritti; infine, che le espressioni artistiche e culturali possano mettere in discussione i preconcetti e stimolare la riflessione, incoraggiando la considerazione di prospettive alternative.