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Persona e famiglia > L'intervista

Adriano Bordignon: investire nelle famiglie per il bene del Paese

di Sara Fornaro

Sara Fornaro

Aumenta la denatalità nel nostro Paese. Regioni come Calabria e Campania sono tra le peggiori in Europa per povertà e rischio esclusione. Le indicazioni del presidente del Forum delle famiglie a favore di un rilancio della cellula base della società

Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni Familiari. Foto del Forum

Ad ogni rilevazione Istat si registra un nuovo record negativo delle nascite. In Italia si fanno sempre meno figli e manca una progettazione globale ed efficace per porvi rimedio. D’altra parte, quando si ha un lavoro precario serve coraggio a farsi una famiglia visti i prezzi delle case e degli affitti, l’aumento del costo della vita in generale e la difficoltà di uscire dalla crisi economica.

In Italia quasi sei milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta: si tratta di 2,2 milioni di famiglie. Fare figli significa rischiare di impoverirsi. Lo confermano i dati del 2024: secondo l’Istat l’incidenza della povertà in una famiglie con tre persone è dell’8,6%, mentre se sono cinque o più supera il 21%. Siamo più in crisi di prima della pandemia.

In Europa, secondo Eurostat, il tasso medio di povertà ed esclusione sociale è del 21%. In cinque territori, tuttavia, quel tasso è più che raddoppiato. Le zone più povere sono Guyana francese (59.9%, possedimento della Francia che si trova in Sudamerica), Calabria (48,8%), Campania (43,5%) e le città autonome spagnole Melilla (44,5%) e Ceuta (42,2%), ubicate nel nord del Marocco. Saremo anche tornati nella Serie A della stabilità, come ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma il nostro Paese conta alcune delle zone più fragili dell’Europa.

Rivoluzione famiglia, libro di Adriano Bordignon, Edizioni Francescane Italiane

Come intervenire allora seriamente a favore delle famiglie? Ne abbiamo parlato con Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, autore del libro Rivoluzione famiglia – Un ecosistema per il futuro, Edizioni Francescane Italiane. “Lo squilibrio demografico – afferma – rappresenta un problema strutturale sia per il nostro Paese che per l’Europa, con effetti negativi sul futuro dell’Italia: una popolazione in diminuzione e in invecchiamento mette a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico, della crescita economica e dei servizi pubblici essenziali. Per questo motivo, è prioritario adottare misure economiche, fiscali e lavorative mirate, potenziare i servizi locali per la prima infanzia e il caregiving, e sostenere le politiche abitative per le giovani coppie”.

Presidente Bordignon, un commento alla bozza della Finanziaria?
Il Governo sta predisponendo la Finanziaria proprio mentre l’Istat certifica la caduta libera della natalità che nel periodo gennaio-luglio 2025 segna circa 13mila nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2024 (-6,3%). L’aspetto ancora più grave riguarda il numero medio di figli per donna che ha raggiunto un minimo storico, attestandosi a 1,18 nel 2024, in flessione rispetto al 1,20 del 2023. Di fronte a questo scenario, pur apprezzando il focus interessante sulla famiglia nella manovra, ci sembra di avere armi insufficienti rispetto allo squilibrio demografico che sta attanagliando il nostro Paese e ne sta segnando i destini in termini di produttività, sostenibilità e competitività. Siamo in particolare soddisfatti che si sia iniziato a mettere mano all’Isee contestato dal Forum da troppi anni, senza ascolto. In prima battuta perché non appropriato per lo sviluppo di politiche familiari ma più congruo per politiche assistenzialistiche. In seconda battuta perché contiene grossolani limiti di equità. Anche l’Europa deve fare la sua parte e proporre la riclassificazione delle politiche familiari e demografiche come investimenti strutturali e non come mera spesa corrente. È il momento tecnico e politico più adatto per chiedere una deroga mirata, come già avviene per ambiti strategici quali transizione verde e digitale ma anche per le spese militari. Le politiche familiari hanno effetti duraturi sulla sostenibilità economica e sociale del Paese e dell’intero continente, favoriscono il Pil e rafforzano la coesione europea.

 Nel suo nuovo libro parla della famiglia come di un organismo vivente che ha bisogno di un ecosistema per fiorire ed elenca gli elementi di cui ha bisogno. Quali sono i principali?
La famiglia, come ogni organismo vivo, ha bisogno di un ecosistema equilibrato per crescere e rigenerarsi. Nel libro descrivo sei elementi che ne rappresentano la linfa vitale. Il suolo è il terreno delle relazioni profonde: fiducia, protezione, reciprocità, dono. Se manca questo humus, tutto il resto si indebolisce. L’acqua è la vita quotidiana fatta di gesti, parole, attenzioni: la concretezza dell’amore che si rinnova ogni giorno e mantiene vive le radici. Il clima è l’ambiente esterno – sociale, economico, culturale – che influisce direttamente sulla salute della famiglia. Se il clima è ostile o incerto, anche le relazioni più solide possono inaridirsi. I nutrienti sono le politiche familiari, i servizi educativi, la scuola, il lavoro dignitoso, la fiscalità equa: tutto ciò che rende possibile progettare il futuro. L’aria rappresenta la speranza, ciò che permette di respirare e di continuare a credere nel domani anche nei momenti di difficoltà. Infine, la luce, che è la dimensione spirituale, la ricerca di senso e la capacità di vedere nell’altro un dono. Quando questi elementi si armonizzano, la famiglia diventa un microcosmo fertile, capace di generare vita, fiducia e cura dentro e fuori di sé.

Parlare di famiglia può sembrare fuori moda. In che modo, invece, possono essere promotrici e protagoniste del cambiamento?
In un tempo in cui rischia di affermarsi sempre più l’individualismo, parlare di famiglia può sembrare anacronistico, ma in realtà è una scelta radicalmente moderna. Oggi “fare famiglia” è un gesto rivoluzionario: significa credere nella continuità, nella cura e nella reciprocità in un mondo che esalta la velocità e il consumo. Le famiglie possono essere promotrici di cambiamento proprio perché custodiscono un sapere relazionale che alcune parti della società tendono a dimenticare: l’arte della gratuità, della negoziazione, del dialogo, della speranza condivisa. Indossare gli “occhiali della famiglia”, come dico nel libro, vuol dire guardare ogni decisione politica o economica chiedendosi se favorisce o ostacola i legami, se rafforza o indebolisce la solidarietà tra generazioni. Non si tratta di nostalgia, ma di lungimiranza: rimettere la famiglia al centro significa riscoprire la dimensione umana dell’economia e della politica, quella che costruisce ponti e non barriere. Le famiglie possono inoltre diventare laboratori di cittadinanza attiva, dove si impara il rispetto, l’ascolto e la responsabilità verso l’altro. Attraverso l’educazione dei figli e l’impegno nella comunità, esse contribuiscono a formare cittadini più consapevoli e solidali. In questo senso, la famiglia non è un rifugio chiuso, ma un motore di apertura e di innovazione sociale.

Quale rivoluzione sogna per le famiglie?
Sogno una rivoluzione gentile ma profonda, una rivoluzione della prossimità e della fiducia.
Vorrei che si smettesse di trattare la famiglia come un’appendice del sistema economico e si assumesse la decisione di riconoscerla come un soggetto sociale e politico a pieno titolo. La rivoluzione che immagino è culturale ed organizzativa: cambiare prospettiva, passare dall’io al noi, riscoprendo il valore dei legami che ci rendono umani. Mi piacerebbe che le famiglie tornassero ad essere protagoniste nei territori, capaci di fare rete, di accogliere, di generare speranza anche in contesti difficili. Sostenere la famiglia non è un’operazione di retroguardia, ma il passo più innovativo che possiamo compiere per costruire un futuro più giusto, sostenibile e davvero umano.

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