Napoletano verace, classe 1956, Giuseppe Vessicchio detto Peppe ha attraversato senza strepiti, ma da signore del pentagramma tante stagioni del pop italiota. Diplomato in pianoforte, le ossa aveva cominciato a farsele come arrangiatore, con i più bei nomi della sempre rutilante scena partenopea: i due Peppini (Di Capri e Gagliardi), Lina Sastri, Edoardo Bennato e Nino Buonocore. Erano i tardi anni Settanta, il made in Italy musicale aveva aperto la grande stagione del pop cantautorale, e il Nostro non fece fatica ad imporsi nell’infingardo mondo della canzone d’autore. Il primo a credere in lui fu Gino Paoli che lo volle al suo fianco per il suo grande rilancio, con brani memorabili come “Ti lascio una canzone” e “Una lunga storia d’amore”.
Un professionista di talento, affidabile, analogico verrebbe da dire. Uno abituato a star dietro le quinte e a far da supporto al successo dei suoi “clienti”. Fino a quel febbraio del 1990, quando la sua facciotta allegra sbucò fra i leggii del Festival di Sanremo. Fu lì che la gente comune cominciò ad amarlo, anno dopo anno, con la complicità di un’immagine inconfondibile e di un modo di fare che sapeva fondere quell’ironia un po’ sorniona e tipicamente partenopea, con la signorilità, altrettanto napoletana, di un aristocratico d’altri tempi.
Il fatto che al di là dell’immagine e del temperamento ci fosse anche molto mestiere e un gran talento, è certificato dai premi come miglior arrangiatore che conquistò nelle edizioni del ’94, ’97, e ’98, oltreché il premio alla carriera assegnatogli da Lucianone Pavarotti nel 2000. E come direttore, di Festival ne vinse ben quattro: con la raffinata Sentimento degli Avion Travel in quello stesso anno, poi due anni dopo con Alexia e la sua Per dire di no, e ancora con Per tutte le volte portata al successo da Valerio Scanu nel 2010, e l’anno seguente, con la memorabile Chiamami ancora amore di Vecchioni. Ma su quel palco di soddisfazioni ne ha avute molte altre, e nel segno di un eclettismo che gli consentiva di passare con la sua tipica nonchalance da Mia Martini ad Elio e le Storie Tese, da Grignani ad Arisa.
Il maestro Vessicchio divenne sempre più un ingrediente immancabile o comunque affettivamente preziosissimo del Festival più chiacchierato d’Italia, accompagnandone il progressivo ritorno a quel fenomeno di massa che ne aveva segnato gli anni ruggenti.
Ma Vessicchio era un talento troppo eclettico per lasciarsi ingabbiare da un cliché per quanto glorioso come il Festival di Sanremo. E infatti se ne scorriamo il curriculum lo troviamo come docente e direttore d’orchestra in tantissime edizioni di Amici di Maria De Filippi, tra il 2001 e il 2022, a suo agio a cantare Volare per Mattarella o a dirigere la sua Tarantina (una sua composizione da camera, eseguita dall’Orchestra della Scala), come selezionatore per lo Zecchino d’Oro, organizzatore di galà benefici o a dirigere ensemble nei teatri di mezzo mondo.
Era uno d’altri tempi mastro Peppe, e come tale faceva un po’ di fatica in quest’era popolata da rappers e da approcci alla musica più strepitanti che strepitosi. Epperò sempre amatissimo, da allievi e colleghi, da artisti e addetti ai lavori: perché se Sanremo è Sanremo, Vessicchio era – e per sempre resterà –, Vessicchio.