In un vecchio racconto di fantascienza (Daniel F. Galouye, Il tempio di Satana, 1954) un cattivissimo dittatore, rintanato da più di un secolo nel suo invincibile bunker al Polo Nord, minaccia tutte le nazioni della Terra, che si sono alleate contro di lui. Visto che non possono sconfiggerlo con missili e cannoni, le nazioni inviano di continuo piccoli gruppi di soldati per penetrare nel bunker e ucciderlo. Art comanda uno di questi gruppi. Riesce a sopravvivere a trappole e insidie, fino ad arrivare, da solo, nella sala di comando, di fronte al dittatore! Sta per ucciderlo, quando avviene qualcosa di inatteso. Il dittatore inizia a parlare e gli spiega: «Da più di cento anni tutte le nazioni della Terra hanno smesso di farsi la guerra perché si sono alleate per sconfiggere il dittatore. Io ho permesso che tu superassi tutte le trappole e arrivassi fino a me, perché ormai sono stanco. È ora che tu prenda il mio posto, così come io ho fatto col mio predecessore e lui a sua volta col suo. Tu devi diventare il dittatore e mantenere la minaccia che il bunker rappresenta. È l’unico modo per “costringere” le nazioni a vivere in pace tra loro». Art esita, capisce e infine accetta di sacrificarsi per continuare la missione.
«Non c’è gioia cristiana senza inserimento pieno nella storia, senza coinvolgimento attivo nelle vicende della gente, senza lettura dei segni dei tempi, senza amore per tutti, soprattutto per quanti si trovano relegati, loro malgrado, nelle periferie esistenziali». Matteo Zuppi
Questo racconto, paradossale, mi viene in mente mentre osservo come si muovono nello scacchiere geopolitico mondiale i “dittatori”, gli “autocrati” e i “tecnocrati”. Indifferenti al bene comune, si affannano a manipolare le leggi, le Costituzioni e le menti dei cittadini, pur di conservare il loro potere. Si muovono «in un ambiente caotico con azioni spiazzanti, trasgressive, per produrre negli avversari un effetto di sbalordimento» (Giuliano Da Empoli – La Lettura 30/3/2025).
In questo contesto disunito e violento, quale può essere il nostro contributo? Nell’inchiesta (pg. 10) osiamo parlare di riconciliazione, perché non ci rassegniamo a guerra permanente, tracotanza e stupidità. In fondo, «ogni singolo autocrate rimane un essere umano, fragile e finito come tutti e tutte», spiega Olivia Guaraldo (pg. 76). E ognuno, come tutti, si porta addosso i fantasmi del suo passato (vedi recensione a pg. 83). Per avere la pace, allora, coltiviamo la fiducia, pensiamo localmente e agiamo globalmente (vedi Ferrara in Città Nuova n.3). In questo senso può essere utile il dossier Fare rete (allegato), così come il focus Cattolici e politica (nella APP): entrambi segnalano iniziative a cui possiamo partecipare.
Una fra tutte, il progetto Mediterraneo di fraternità. Lo spiega bene Margaret Karram: «Dobbiamo avere la creatività dell’amore. Dobbiamo vivere, aiutare perché non ci siano muri, non ci siano frontiere».