Abbiamo bisogno dei cristiani in Medio Oriente

Di fronte alla drammatica situazione in cui si trovano i cristiani in Iraq costretti a decidere se pagare tasse speciali, lasciare il Paese o diventare musulmani, non sono mancate dichiarazioni autorevoli di esponenti dell’Islam e di altre religioni che esprimono preoccupazione per quanto sta avvenendo
Iraq

Nelle ultime settimane, i media hanno dato largo spazio all’avanzata dei jihadisti dell'Isis di Abu Bakr al-Baghdadi in Iraq, alla proclamazione del Califfato e alla situazione in cui si trovano ora i cristiani della zona: pagare tasse speciali, lasciare il Paese o diventare musulmani. La situazione è, senza dubbio, grave, ma a fronte della preoccupazione da parte cristiana per questo sviluppo imprevisto, almeno nei tempi in cui si è realizzato, non sono mancate dichiarazioni autorevoli di esponenti dell’Islam e di altre religioni che esprimono preoccupazione per questa situazione.

«Io non lo definisco un Califfato ma un gruppo terroristico che rappresenta una deriva settaria», ha affermato, in modo deciso ed inequivocabile, in una intervista alla Radio Vaticana, il teologo musulmano Adnane Mokrani, docente al Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica (Pisai) di Roma. Lo studioso, nel corso del dialogo con i giornalisti dell’emittente vaticana, ha ammesso che «lo sviluppo di questa formazione terroristica  appare ancora misterioso e la sua storia ha degli aspetti ancora sconosciuti».Mokrani ha ribadito che la presenza del cristianesimo in Iraq come in Siria ha radici storiche legate alla sua origine «e che le azioni di questo gruppo – cacciare i cristiani, costringerli a cambiare religione o a pagare una tassa – non sono solo contrarie ai diritti umani ma vanno contro i principi e i valori dell'islam».
Il prof. Mokrani ha anche fatto notare come «durante il Ramadan, molti musulmani, sia in Iraq che in altri paesi, hanno espresso la loro solidarietà ai cristiani di Mosul e di tutto l'Iraq. Abbiamo, infatti bisogno della loro presenza in Medio Oriente».

«In questi tempi tribolati, in cui siamo testimoni di una crisi morale senza precedenti, dobbiamo ricordare i principi islamici di haq el-hurriya e haq el-karama, il diritto alla libertà e il diritto alla dignità, che devono essere garantiti ai popoli di tutte le fedi. Per citare le parole dal Corano: “E Noi già molto onorammo i figli d’Adamo e li portammo per la terra e sul mare” (Surah al-Isra’, 17:70).

Questo uno dei passi più significativi all’interno di una dichiarazione congiunta firmata negli ultimi giorni da esponenti di primissimo piano del mondo dell’Islam medio-orientale – Sua Altezza Reale El-Hassan bin Talal, Fondatore e Presidente del Royal Institute for Inter-Faith Studies (RIIFS) e co-fondatore e presidente della Foundation for Interreligious and Intercultural Reasearch and Dialogue (FIIRD)ed ilDr. Ahmed al-Kubaisi, Fondatore di Scholars Association, Iraq – insieme a personalità sia della Chiesa cattolica che del mondo ebraico – il Capo Rabbino René-Samuel Sirat, co-fondatore e segretario della Foundation for Interreligious and Intercultural Readearch and Dialogue (FIIRD) and Msgr. Michael L. Fitzgerald, membro del consiglio della Foundation for Interreligious and Intercultural Readearch and Dialogue (FIIRD).

Questi leader religiosi si riferiscono alle parole del rabbino Magonet: «Per uscire da queste ristrettezze, ho invocato Dio; Dio mi ha risposto con una visione più ampia. Ringrazia l’eterno che è buono, perché l’amore di Dio è la-olam: per il mondo intero”. Allo stesso tempo, desiderano amplificare anche il monito di papa Francesco sulla situazione di Mosul: «Che il Dio della pace faccia nascere in ciascuno un desiderio autentico di pace e riconciliazione. La violenza non può essere vinta con la violenza. La violenza si sconfigge con la pace!».

Significativa la conclusione dell’appello del principe Hassan: «Ora più che mai è il tempo di dare ascolto alle parole del Corano: “Non vi sia costrizione nella Fede” (Surah al-Baqarah, 2:256). Se ignoriamo questo appello alla riconciliazione, la situazione continuerà a peggiorare e vedremo il popolo iracheno fatto a pezzi sia tra i musulmani che tra persone di diverse fedi. Non possiamo permettere una tale tragedia in una terra che è la casa di una delle più antiche civiltà del mondo. Dobbiamo ripagare il debito che abbiamo con la Mesopotamia».

D’altra parte, proprio dal cuore dell’islam iracheno, sciita, è arrivata una condanna severa degli atti di profanazione e distruzione dei luoghi di culto. L’imam al-Khoei di Najaf, esponente di rilievo dell’islam sciita, ha diramato una dichiarazione ufficiale in cui si afferma la necessità di «fronteggiare il tentativo di eliminare alcune componenti della nostra società, condotto da parte di alcuni gruppi animati da concezioni malate e irreligiose, realtà che non badano alla sacralità del sangue umano e si comportano da nemici della religione e dell’umanità insieme, manovrati dietro le quinte dai programmatori delle ostilità comunitarie, religiose ed etniche». 
Khoei, inoltre, ha affermato la «piena disponibilità ad accogliere le famiglie dei profughi e degli sfollati iracheni, siano essi musulmani, cristiani o altri” invitando “tutti gli iracheni a fornire ogni tipo di aiuto alle famiglie dei profughi e a proteggerle dagli aggressori, secondo i principi della fratellanza umana e nazionale».

A fronte di una situazione che parla sempre più di fondamentalismi religiosi e di pericolose persecuzioni, non si devono dimenticare questi messaggi di giustizia e pace, che purtroppo non ricevono la stessa attenzione da parte dei media, ma che parlano di un islam vero ed aperto. L’ho sperimentato anche in questi giorni in Indonesia, dove mi trovo: un'autorevole esponente del mondo accademico mi confidava la sua preoccupazione per le dichiarazioni di un collega a favore del califfato proclamato in Iraq. Nella prospettiva dell’Islam più grande del mondo – quello dell’Indonesia appunto – che si è sempre caratterizzato per la sua tolleranza e capacità di integrazione con altre culture e religioni e che ora conosce pressioni fondamentaliste, la professoressa si augurava che il dialogo possa prevalere sui fondamentalismi.

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