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Cultura > Se ne discute

A Bologna la filosofia fallisce

di Tommaso Bertolasi

- Fonte: Città Nuova

Tommaso Bertolasi, autore di Città Nuova

La politica, come spesso accade in quest’epoca di populismi dilaganti, è immediatamente salita sul carro allegorico della confusione carnevalesca bolognese

Chiostro di San Giovanni in Monte, già sede del carcere cittadino, ora sede di tre dipartimenti dell’Università di Bologna (Archeologia, Discipline Storiche e Paleografia e Medievistica). Foto di dominio pubblico da Wikipedia, di Carlo Pelagalli.

Riavvolgiamo il nastro. Premiamo play a velocità 2x, che ormai la cronaca è piuttosto nota. Il capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, Carmine Masiello, avvia un’interlocuzione tra l’Accademia Militare di Modena e l’Alma Mater Studiorum per attivare presso l’antico ateneo bolognese un corso di filosofia per gli allievi della scuola delle forze armate.

Intervengono alcuni attori dell’università, fortemente antimilitaristi. Le autorità accademiche rinunciano a ciò che è loro proprio, cioè all’esercizio dell’autorità. Il progetto viene affossato. Apriti cielo. È il caos. Monta una polemica che alcuni esponenti della maggioranza di governo sanno abilmente cavalcare. Fin qui, una cronaca non particolarmente edificante né interessante. Ciò che è veramente interessante è il senso e la missione della filosofia per il nostro tempo.

La filosofia, infatti, vuole essere scienza della libertà, anzi, della liberazione: una liberazione che si cerca di raggiungere sempre e di nuovo attraverso l’esercizio del pensiero. Questo è il compito dell’università nel suo insieme, in particolare delle facoltà umanistiche e soprattutto di quelle filosofiche: insegnare a pensare.

Oggi il pensiero è in crisi. Non pensiamo più. Non nel senso che ci mancano pensieri: tutti ne abbiamo, e ne abbiamo anche molti. Ciò che è venuto a mancare è la rigorosità di un pensare capace di leggere la realtà al di là e nonostante ciò che è misurabile, usabile, funzionale, al fine di coglierne il senso.

Il pasticcio bolognese è una cartina di tornasole di questa crisi di senso. Crisi che travolge anche chi dovrebbe essere armato per non soccombere alla battaglia della funzionalità: oggetti e persone come cose da usare, anziché soggetti pensanti. Invece, ecco che la filosofia, abdicando a se stessa nella più antica università del mondo, si getta nella mischia della caciara del carnevale populista. È la fine della filosofia.

L’Alma Mater e le sue autorità sembrano non cogliere l’opportunità di mettere in questione la violenza, le armi, la guerra, i militari… e di farlo proprio parlando alle forze armate. Insegnando la libertà del pensiero a chi ha nel Dna professionale l’obbedienza agli ordini. Anziché offrirsi come spazio di pensiero sul merito delle cose, c’è da chiedersi se anche le università non stiano correndo il rischio di diventare curve di tifoserie di destra o di sinistra, pronte a essere capeggiate da politicanti incaricati del loro ruolo dalla maggioranza di turno al governo. Sarebbe non solo la fine del pensiero, ma anche della libertà.

Forse, però — c’è da sperarlo — le università (e la filosofia) hanno ancora degli anticorpi.

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