Il 16 gennaio la Camera ha approvato il disegno di legge, presentato dal governo Meloni, che propone di modificare la Costituzione e introdurre la separazione delle carriere dei magistrati. L’iter è ancora lungo, tuttavia vale la pena di illustrare la questione.
In Italia i magistrati possono svolgere due funzioni: quella giudicante e quella requirente.
Per funzione requirente, si intende il pubblico ministero, ossia quel magistrato a cui è affidata la conduzione delle indagini, l’individuazione del soggetto che potrebbe essere colpevole, la richiesta di rinvio a giudizio, ed infine il ruolo di accusatore nel giudizio. Il giudicante invece è il classico giudice, terzo ed indipendente, rispetto a pubblico ministero e difensore dell’imputato.
Allo stato attuale, il magistrato che vince il concorso può decidere, per una sola volta nella sua vita professionale, di cambiare funzione, a patto però di cambiare regione. Va detto che nella grande maggioranza dei casi il passaggio avviene da pubblico ministero a giudice, e non l’inverso. Tutti i magistrati sono inoltre sottoposti e rispondono a un unico organo, ossia il Consiglio superiore della magistratura (CSM), che è guidato dal presidente della Repubblica e vigila sul corretto operato dei magistrati stessi.
La riforma costituzionale presentata dal governo propone di eliminare quest’unica possibilità di passaggio di funzioni: in questo modo, ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di PM, senza la possibilità di cambiamenti successivi.
Ad avviso dei promotori della riforma, infatti, il passaggio dalla funzione accusatoria a quella di giudice «crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri».
Il passaggio da una funzione all’altra sarebbe, quindi, decisivo per creare uno spirito di corpo, tra giudici e PM che influirebbe poi nelle decisioni, spingendo il giudice a dare più facilmente ragione al suo collega anziché all’avvocato difensore privato. Ed è su questa base che una buona parte dell’avvocatura organizzata, in Italia, appoggia la riforma.
Nel contempo, chi è contrario, teme che la separazione definitiva delle funzioni, e dunque creare PM e giudici ben divisi, sia l’inizio di un percorso che vuole sottomettere i pubblici ministeri al Governo, o comunque a più stringenti vincoli nella scelta dei reati da perseguire prioritariamente (e dunque anche su quelli da lasciar correre).
In base alla riforma si darà, infatti, vita a due CSM al posto di uno: CSM giudicante e CSM requirente. Saranno guidati entrambi dal presidente della Repubblica e ne faranno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Tuttavia, a differenza del CSM attuale, gli altri membri dei due Consigli saranno scelti attraverso un sorteggio.
Si tratta allora di capire, prima di tutto, e ragionando al di fuori dei consueti schemi, se davvero il fatto di impedire quell’unico passaggio da una funzione all’altra possa influire positivamente sulla qualità delle decisioni, proprio in un’ottica garantista.
Anche molti avvocati sono, infatti, perplessi di fronte all’ipotesi di creare una figura di magistrato che, dall’inizio alla fine della sua carriera, sia destinato e dedicato solo al ruolo di pubblica accusa. Molti ritengono che una migliore cultura e formazione si acquisisce solo se uno stesso soggetto ricopre tutti i ruoli del processo. In astratto meglio ancora sarebbe se il magistrato svolgesse prima il ruolo di difensore, poi di accusatore, poi di giudicante, e poi ruotasse ancora. Chi ha giudicato, sarà anche più prudente nell’accusare (nel chiedere un rinvio a giudizio). Chi ha accusato e difeso sarà più consapevole nel giudicare. Negli USA, ad esempio, gli avvocati per un periodo sono chiamati a svolgere il ruolo di procuratori dell’accusa, poi tornano a fare gli avvocati difensori.
Il tema sollevato dai promotori della riforma è reale e concreto. Chi sostiene il ruolo dell’accusa, in un giudizio, ha una posizione privilegiata, che potremmo definire come una sorta di accesso agevolato al convincimento del giudice giudicante. I promotori ritengono che sia legato ad uno spirito di corpo, che si crea per il passaggio da una funzione all’altra, e dunque al senso di colleganza. Non è così.
Il nodo, che va esposto con chiarezza ai lettori, è che il PM è un soggetto pubblico. Quando decide di “accusare” si presume lo faccia nell’interesse pubblico. In sostanza, è vero che nel processo vi è un pregiudizio favorevole alla tesi del PM, e quindi un pregiudizio di colpevolezza. Ma questo nasce dal fatto che il PM accusa nel pubblico interesse, mentre l’avvocato rappresenta una parte privata (che si difende nel proprio interesse). Ecco perché nel giudizio la parte pubblica è avvantaggiata, perché un giudizio super partes, quando inizia il processo, c’è già stato. Ed è quello del PM che in buona fede – perché ne è convinto, perché ha trovato la (sua) verità, giusta o sbagliata che sia –, ha deciso di accusare l’imputato.
Questo pregiudizio non si potrà mai eliminare. È presente anche nel giudizio civile o nel giudizio amministrativo presso il TAR. Il problema è che una parte è pubblica, ed il difensore della parte pubblica agisce (o si presume agisca) nell’interesse collettivo. Spesso nel giudizio civile o amministrativo, la parte pubblica, ad esempio l’ente locale, è difeso da un avvocato privato (io stesso ho difeso enti pubblici). Anche lui è avvantaggiato: nel momento in cui si sente in aula “lo Stato del Texas contro Tizio”, non c’è nulla da fare, non ci potrà mai essere vera “parità di parti”. A ben vedere non è l’avvocato pubblico che è avvantaggiato, è la parte che rappresenta: lo Stato contro il presunto criminale, con buona pace della presunzione di innocenza.
Ciò che rileva, ai fini del nostro dibattito, è che nulla potrà mutare questa situazione, e certamente non il fatto di separare le carriere.
Dunque, a mio personale giudizio, la riforma è illusoria nelle intenzioni, e peggiorativa nella pratica, proprio nel senso garantista. Infatti, non è affatto positivo costruire una professionalità del magistrato PM, incentrata solo sull’accusare. Si è detto che il primo giudizio lo dà il PM, quando decide se accusare o meno. In questo senso è importante che il PM acquisisca la cultura del giudizio di terzietà, e che eviti di proporre accuse che non siano suffragate in termini probatori, ed in questo giudizio sulla prova lo devono soccorrere le reminiscenze di quando giudicava.
Il nodo più preoccupante della riforma, tuttavia, è proprio quello della trasformazione e frammentazione del CSM. Due Consigli avranno infatti il compito di stabilire le assunzioni, i trasferimenti e le valutazioni dei rispettivi magistrati, mentre i procedimenti disciplinari spetteranno a un nuovo ulteriore organo, ossia l’Alta Corte disciplinare.
In tutti questi organi vengono abolite le elezioni dei componenti magistrati, che saranno invece sorteggiati. Anche i componenti di parte parlamentare verranno estratti a sorte da un elenco di professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di attività stilato dal Parlamento in seduta comune.
Il vero problema, a mio personale avviso, è che frammentare il CSM, generando tre organi più piccoli, condurrà ad una maggiore debolezza dell’organo, con conseguente maggior rischio di indebite pressioni del potere politico, in particolare sul nuovo CSM dei pubblici ministeri, che potrebbe essere sottoposto a direttive sui reati cui dare priorità, che segnatamente saranno quelli che meno coinvolgono proprio i partiti politici e gli amministratori locali.
Anche il meccanismo del sorteggio, per la designazione dei componenti magistrati, inevitabilmente porterà negli organismi personalità più docili, meno avvezze a contrapporsi al potere politico. Viceversa, da parte politica si procederà al sorteggio dei componenti, è vero, ma in un elenco che verrà stilato dal Parlamento, e dunque tra personalità di orientamento ed impegno politico, preventivamente selezionate.
Insomma, rimane l’impressione che il disegno sia quello di indebolire l’organismo, oggi forte, e affievolire la separazione dei poteri, riportando la magistratura sotto il controllo del Governo.
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