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Vita consacrata, il cardinale De Aviz: nel rapporto tra autorità e obbedienza si torni alla fraternità

di Vittoria Terenzi

- Fonte: Città Nuova

Il cardinale De Aviz lascia la guida del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Papa Francesco ha nominato suor Simona Brambilla nuova prefetta.

Il cardinale João Braz de Aviz, foto di Vittoria Terenzi.

Con una decisione memorabile, nella solennità dell’Epifania, papa Francesco ha nominato suor Simona Brambilla, delle missionarie della Consolata, prefetta del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, affidando, per la prima volta nella storia, la guida di un Dicastero della Curia romana a una donna.

Insieme al cardinale João Braz de Aviz, che conclude il suo mandato come prefetto del medesimo Dicastero, ripercorriamo gli anni del suo servizio in Vaticano soffermandoci sulle sfide e i cambiamenti che la vita consacrata ha affrontato nell’ultimo decennio.

Eminenza, per 14 anni lei è stato prefetto del Dicastero per la vita consacrata, nominato da Benedetto XVI, riconfermapto da papa Francesco. Può fare un bilancio a livello personale di questi anni di servizio?
Sono venuto a lavorare al Dicastero per la vita consacrata per la fiducia del santo padre, prima Benedetto XVI e dopo Francesco. È una missione che è durata 14 anni ed è collegata molto direttamente a Pietro, alla Chiesa, al Papa, che rappresenta il desiderio di Dio per la Chiesa e per la vita consacrata.

Ho sempre avuto molta consapevolezza di questo. Uno dei punti più importanti per me durante questi 14 anni è stato garantire che il Dicastero potesse camminare sempre, sempre in armonia con il pensiero, il sentimento, la volontà di papa Francesco e, nel primo momento, di Benedetto XVI. Tutti i giorni andavo in cappellina a dire a Gesù Eucaristia che era Lui a guidare il Dicastero e passavo anche davanti all’immagine di Maria che abbiamo qui, la Madre della Chiesa, per dire a lei: «Mamma rimani con noi perché altrimenti non sappiamo cosa fare». In questa fiducia sapevo che la cosa più importante era camminare come un corpo, tutti noi insieme. Questo implicava che io non mi comportassi tanto come qualcuno che ha in mano tutto, ma che cammina con tutti. Avevo un grande desiderio di questo.

Una delle cose più belle di questo periodo per me è stato vedere questo corpo di 35-40 persone cercare di camminare – non dico che abbiamo potuto camminare sempre insieme – però cercare di camminare insieme, di aiutarci e questo spirito ci ha alleggerito molto. In questi 14 anni abbiamo sentito che è cresciuto sempre di più questo aspetto della comunione, del desiderio di comunione tra noi. Forse questo ha facilitato il poter «entrare» in tante situazioni alle volte un po’ delicate, difficili.

In un certo senso il Dicastero riceve tutte le bellezze della vita consacrata, però riceve anche tutte le situazioni che hanno bisogno di aiuto per essere superate. In questo senso, allora, aiuta moltissimo la comunione e la coscienza di lavorare come espressione della figura del santo padre.

In questi anni, quali cambiamenti ha potuto osservare nella vita consacrata?
Noi abbiamo avuto la fortuna immensa di poter celebrare, secondo gli orientamenti di papa Francesco, l’Anno della Vita consacrata nel 2015. Questo è stato un punto forte per noi perché abbiamo ricevuto da lui tante indicazioni per cominciare a capire questo momento di passaggio, perché è un momento in cui la vita consacrata deve conservare quello che ha di profondo, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II e di papa Francesco, ma dall’altra parte ha anche bisogno di iniziare alcuni processi di cambiamento come, ad esempio, la spiritualità.

La spiritualità della vita consacrata è stata basata su due grandi cardini: custodire il mistero di Dio nella vita della Congregazione, dell’Ordine, dell’Istituto, secondo il proprio carisma e creare tra i membri un rapporto profondo di fraternità. In questo senso ci possono essere alcuni problemi legati alla secolarizzazione, all’individualismo, alla difficoltà ad alimentare sempre una vita che proviene dalla fede. Tuttavia, è un processo di rinnovamento che si sta realizzando.

Un altro aspetto è l’integrazione tra il maschile e il femminile non basato sulla paura, sul rifiuto o sulla strumentalizzazione, ma sull’integrazione, com’è nella creazione. Dio ci ha fatto uomini e donne, anche uomini e donne consacrati, allora bisogna cercare di sviluppare questa capacità relazionale e questo si sta realizzando poco a poco.

La questione cruciale è quella del rapporto tra obbedienza e autorità. Non è possibile, in un tempo in cui siamo cresciuti nella coscienza della sinodalità, avere ancora persone sottomesse e persone che comandano. Gesù non ci ha portato verso il potere, ci ha portato verso il servizio.

Chi vuole essere il primo deve essere l’ultimo, se vuoi veramente essere con l’altro, devi essere capace di dare la vita per l’altro, amare l’altro. È un nuovo stile di vita in cui l’autorità diventa servizio, in cui l’obbedienza diventa un cammino di comunione. Questo ancora è un processo in corso, però se non si realizza le vocazioni diminuiscono perché l’attuale generazione non guarda più a queste distinzioni, cioè non accetta che uno sia considerato più “perfetto” di un altro. Infatti tutti abbiamo ricevuto lo Spirito Santo nel battesimo.

Nel mio compito di prefetto ho cercato di non presumere sempre di sapere tutto, ma di camminare facendomi aiutare, camminando con gli altri, cercando di capire in profondità dove fossero i problemi.

Ci sono altre questioni, come per esempio quella delle opere, perché molte delle nostre opere non hanno più persone che le custodiscano, perché il numero delle persone è molto ridotto. Allora, si è iniziato un camino di rinnovamento anche nel campo dell’economia, aiutati dall’orientamento di papa Francesco: c’è bisogno di professionalità e c’è bisogno di Vangelo, le due cose insieme. La vita consacrata sta veramente camminando in questa direzione perché un consacrato, non è consacrato ai beni, non è consacrato a se stesso, è consacrato a Dio.

Ci si interroga molto su come vivere il servizio dell’autorità in modo sinodale. Come riuscire a vivere secondo questo stile?
Per prima cosa, c’è il rapporto autorità-obbedienza, non potere, ma autorità. L’autorità è autorità, perché c’è Gesù che è autorità, c’è il Padre e il Figlio che sono autorità, c’è la Chiesa che ha la gerarchia, che è autorità, e dopo questo si estende nella Chiesa.

Però i modelli sociologici –  monarchia e democrazia – non esauriscono questo concetto. Il mistero va molto oltre. Questi modelli potrebbero servire a confermare l’autorità, anche a cercare un’autorità partecipativa, questo sì, però il modello non è lì.

È qui che dobbiamo lavorare, penso. Per superare questa dicotomia che si è creata, questo svuotamento del senso del mistero nel nostro rapporto di autorità e obbedienza, bisogna tornare a una fraternità vera, che acquista un valore enorme perché la fraternità non è lasciare andare le cose. La fraternità è mettersi insieme all’ascolto di Dio, all’ascolto del Vangelo, alla pratica del Vangelo. Bisogna pensare che sia il membro di una comunità sia l’autorità devono essere discepoli di Gesù e devono vivere questa realtà che si risolve solo nell’amore fraterno, in cui io prima di tutto sono disposto a dare la vita per l’altro, dopo sono portato a dire, secondo la mia grazia, quello che ho ricevuto, quello che penso sul cammino che dobbiamo fare. Questo porterà sempre a una sintesi che permette alla Verità (Gesù) di manifestarsi.

Però questo esige anche la capacità, come diceva il predicatore della casa pontificia quest’anno, di entrare nel mistero, cioè di avere noi lo stupore di Dio, lo stupore creato dal mistero d’amore di Dio.

Poi, bisogna recuperare la fiducia nell’altro. Noi abbiamo perso la fiducia, guardiamo a noi stessi e questo fa un male molto grande. Infine, dobbiamo essere capaci di fare come ha fatto il figlio di Dio, che è diventato piccolo. Ecco, allora, la piccolezza per poter trovare l’altro. Penso che l’anno del Giubileo che stiamo vivendo sia un’opportunità straordinaria per vivere più in profondità questi aspetti.

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