Il crollo del regime siriano è stato evidentemente possibile per il venir meno del sostegno della Russia (inguaiata in Ucraina), dell’Iran (in crisi per il crollo della “mezzaluna sciita”, una pesante recessione economica aggravata dalle sanzioni, e una forte protesta sociale) e di Hezbollah (in stallo dopo la guerra con Israele).
Ma c’è un altro fatto che sta emergendo in questi giorni: dopo aver detto per anni peste e corna di Hayat Tahrir al Sham (Hts) e della sua appartenenza ad un intransigente islamismo filoturco, adesso in Occidente abbiamo scoperto che tutto sommato proprio il capo di Hts, al Jolani, potrebbe essere il leader in grado di tirare fuori la Siria dall’abominio in cui l’hanno sprofondata la dittatura e 13 anni di guerra.
Complottismi se ne raccontano parecchi (e anche di fantasiosi), ma in pratica occorre fare i conti con i “potenti” tuttora implicati in Siria: la Russia è relegata nelle due basi militari sulla costa, forse in via di smantellamento; l’Iran è quasi scomparso con quel che resta delle milizie Haramyun; gli Usa restano nell’est curdo e al confine giordano; la Turchia con i gruppi sponsorizzati minaccia da nord. Ci sono poi lo Stato Islamico con le milizie collaterali, e formazioni jihadiste affiliate ad al Qaeda. Qualche realtà nostalgica del regime, o comunque troppo legata ad esso per potersi defilare, è ovviamente rimasta, soprattutto nella zona costiera, dove è di casa una popolazione islamica vicina agli sciiti, gli alawiti, al quale appartiene la famiglia Assad. Senza contare il Rojava Kurdistan (ad est, un terzo della Siria), sponsorizzato dagli Usa ma dei quali i curdi non si fidano del tutto. Curdi siriani che sono però anche un discorso a parte, perché, alla fin fine, più che un’ideologia o un potere difendono la loro terra e la loro identità.
Poco prima di Natale c’è stata un’iniziativa dell’amministrazione Usa (quella uscente) che ha un po’ stupito, almeno in Europa: gli Stati Uniti hanno rimosso la taglia da 10 milioni di dollari che avevano messo sulla cattura vivo o morto di Ahmed al Sharaa, vale a dire il leader di Hts, al Jolani, dal 2017 bollato come capo del peggiore islamismo jihadista. Al Jolani si sarebbe invece impegnato a tenere fuori dalla Siria lo Stato Islamico ed altri gruppi terroristici, a promuovere una Costituente e la formazione di un governo democratico, e a tutelare le minoranze religiose ed etniche (che poi non sarebbero “minoranze”, ma – come ha sottolineato il patriarca ortodosso di Antiochia – cittadini siriani a pieno titolo).
Al Jolani, Hts e la variegata compagine delle milizie alleate manterranno le promesse? E l’amministrazione Usa (quella entrante) manterrà il sostegno ai curdi e gli accordi con la nuova Siria? E che intenzioni ha Israele, oltre a bombardare i depositi di armi dell’ex regime e ad occupare il Golan?
Iran e Russia al momento non sembrano più in grado di mettere becco in Siria, ma la Turchia non demorde nel voler attaccare i curdi. E lo sta facendo mandando avanti le milizie filo-turche Sna (Syrian national army). Non deve indurre in errore la disponibilità turca verso la nuova Siria di al Jolani: per la Turchia di Erdogan, il Rojava curdo non c’entra con il governo di Damasco, almeno finché resta autonomo e presidiato dalle Forze democratiche siriane (Sdf) a maggioranza curda. I turchi sanno bene che non possono spingersi troppo oltre contro i curdi senza correre rischi con gli Usa, che li sostengono e li armano. Anzi, ci sono un migliaio di militari Usa (addestratori) nel Rojava, soprattutto in funzione anti Stato Islamico.
Uno dei punti particolarmente critici sta forse proprio qui: dopo aver sconfitto sul terreno lo Stato Islamico, dal 2017 i miliziani curdo-arabi delle Sdf, con il supporto statunitense controllano le prigioni e i campi di prigionia in cui sono reclusi circa 10 mila ex combattenti Isis e numerosi foreingn fighters (con mogli e figli accampati nei dintorni). Le Sdf monitorano (e gli americani talora bombardano) le zone desertiche della Siria centrale e orientale in cui si aggirano circa 3 mila miliziani dell’Isis rimasti nascosti, che complottano allo scopo di liberare i compagni reclusi e parcheggiati da anni nei campi di prigionia di Al-Hol e Roj-Tal, nella Siria nordorientale.
Gli attacchi dei miliziani filo-turchi Sna (armati e sostenuti da Ankara) rischiano di indebolire le Forze curde Sdf, o di allontanarle dalla guardia ai campi di prigionia, aumentando così il rischio di una fuga in massa degli ex combattenti Isis. Sarebbe per molti siriani un colpo duro alla fragile speranza di questi giorni.