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In profondità > Chiesa

Concistoro, riflessioni a margine

di Roberto Catalano

- Fonte: Città Nuova

Un Concistoro è da sempre un momento importante della Chiesa cattolica. E fa notizia. Quello tenutosi alla vigilia della Festa dell’Immacolata non ha fatto eccezione. Perché i cardinali sono i potenziali candidati a essere il prossimo papa

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Da sempre, intorno ad un Concistoro si scatenano le analisi e le illazioni di osservatori e giornalisti, in particolare dei cosiddetti vaticanisti. Salve restando le sorprese che possono sempre accadere. Basta pensare al card. Benelli, per anni vicino a Paolo VI come sostituto della Segreteria di stato. Più d’uno sussurrava che sarebbe stato presto papa. Purtroppo, morì ancora giovane – in base all’età media dei “grandi” della Chiesa cattolica, soprattutto di allora – e comunque si sarebbe trovato sulla strada un lunghissimo pontificato come quello di Karol Wojtyla.

Bergoglio ha indetto un Concistoro per decima volta da quando è salito al soglio di Pietro ed ha creato 149 nuovi cardinali, di cui 110 sarebbero, ad oggi almeno, elettori del suo successore. Quello che, tuttavia, colpisce sempre nelle scelte cardinalizie del papa argentino sono elementi che ormai si ripetono fin dal suo primo Concistoro. I prescelti, spesso, sono nomi poco conosciuti e vescovi in diocesi di periferia, come ama chiamarle papa Francesco. Lo dimostra il fatto che, almeno in Italia, Milano, Venezia e Genova a tutt’oggi non hanno un cardinale a guidare la comunità cattolica. E, da sempre – almeno nell’ultimo secolo e mezzo – erano ritenute sedi cardinalizie. Le prime due sono state miniere prolifiche di pontefici nell’ultimo secolo: ben 5, infatti, provenivano da Milano o Venezia, dove avevano esercitato la loro attività pastorale come arcivescovi prima di essere eletti al soglio di Pietro.

Un secondo elemento riguarda proprio le cosiddette “diocesi di periferia”. Qui è necessario distinguere nella complessa e, a volte, contradditoria geopolitica bergogliana. Infatti, i Paesi rappresentati nel collegio cardinalizio, al principio della missione di papa Francesco erano 48, un numero già di tutto rispetto se confrontato con quello che risultava essere anche solo 50 anni fa, quando a farla da padrone erano le Chiese europee con alcuni rappresentanti di altri continenti. Oggi, dopo i 10 Concistori bergogliani siamo arrivati a 73 nazioni: il mondo è sempre più rappresentato nel cuore del globo cattolico, termine che significa proprio universale. Attenzione però. Alcune delle Chiese rappresentate non lo sono attraverso figli nativi di quella nazione. Esempi significativi sono il card. Marengo, che rappresenta una Chiesa minuscola nel cuore dell’Asia, la Mongolia, ovviamente non ancora in grado di esprimere un suo rappresentante a quel livello, e anche il card. Pizzaballa, patriarca dei latini a Gerusalemme: nuovamente un italiano dopo due patriarchi arabi. Non pochi obiettano ad una politica di questo tipo. Sembra di tornare indietro di decenni, quando a rappresentare la Chiesa di molti Paesi asiatici o africani erano prelati europei. Il fenomeno è oggi assai limitato, la maggior parte dei vescovi e, dunque, anche dei cardinali, sono nativi dei Paesi che rappresentano. Resta, comunque, il fatto che l’estensione dei Paesi rappresentati nel collegio cardinalizio non sia sempre completamente realista.

Tuttavia, è anche bene tener conto che sempre più ecclesiologi parlano oggi di un “world cristianity”, un cristianesimo mondiale, che si evolve localmente e globalmente secondo i fenomeni delle migrazioni, della globalizzazione, ecc. Basta riflettere, per esempio, sul fatto che a Milano nel numero dei cattolici praticanti, i filippini e gli ecuadoriani cominciano ad essere una percentuale importante, e con una fede radicata e cosciente, probabilmente più di molti altri cattolici locali. Eppure l’attuale arcivescovo e i suoi ausiliari sono tutti vescovi locali. Non si è ancora arrivati a un rappresentante ad hoc, come è avvenuto per altre Chiese in diverse parti del mondo, dove non si è potuto non tener conto delle variazioni di percentuale imposte da processi migratori all’interno della comunità cattolica. Dunque, anche questo aspetto fotografa la realtà, che appare un po’ contraddittoria.

Papa Francesco ha dimostrato, inoltre, di non tener conto anche di altre consuetudini. Sabato 7 dicembre scorso, ha imposto la berretta cardinalizia all’indiano Jacob Koovakad, di rito siro-malabarese, uno degli organizzatori dei suoi viaggi. Fino ad oggi erano diventati cardinali, come rappresentanti di questa Chiesa che risale all’apostolo Tommaso, solo arcivescovi della diocesi principale: Ernakulan, nello stato del Kerala in India. Oppure negli ultimi decenni, dopo una riforma concordata con la Santa Sede, era stato nominato cardinale l’arcivescovo maggiore, sempre con sede nella stessa città indiana. Ora la Chiesa siro-malabarese, oltre al cardinale emerito, già arcivescovo maggiore, avrà come suo rappresentante nel collegio cardinalizio un giovane prelato che non ha vissuto in India da lungo tempo. E tutto questo, senza poter prevedere le tensioni che potrebbero verificarsi all’interno dell’episcopato siro-malabarese – costituisce una Conferenza Episcopale a parte – a causa di una nomina che non tiene conto della gerarchia interna e delle indicazioni del Sacro Sinodo della medesima comunità.

Soprattutto, nonostante le nomine cardinalizie di Francesco abbiano ormai assunto una fisionomia identificabile, è sempre più imprevedibile chi potrà uscire come suo successore dal prossimo Conclave. Negli ultimi 60 anni, da Pio XII ad oggi, abbiamo visto succedersi sul soglio di Pietro pontefici dalle personalità tutt’altro che simili o vicine. Eppure oggi, e sempre di più, si parla di una continuità significativa nella Chiesa cattolica da Giovanni XXIII a papa Francesco. Non resta che attendere, sapendo che l’interesse per la geopolitica vaticana è sempre d’attualità, ma non mancano mai i colpi di scena e i risultati sono spesso imprevedibili quando si ha a che fare con la Chiesa cattolica.

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