Come sempre, ce n’è per tutti i gusti e la scelta non è facile. Dopo l’acchiappatutto Gladiatore 2, proviamo ad orientarci, iniziando da Hey, Joe, un lavoro equilibrato di Claudio Giovannesi. Ancora Napoli, questa volta negli anni Settanta quando Dean ( un James Franco credibile), veterano di tre guerre, alcolista e divorziato, torna a cercare il figlio avuto nel dopoguerra da Lucia, oggi scomparsa. Il figlio (Francesco Di Napoli) c’è, è stato allevato da un boss e vive ai margini sottomesso all’uomo. Non ne vuol sapere del padre, eppure Dean insiste e grazie ad una prostituta (Giulia Ercolini) si immerge nei quartieri malavitosi, salva il figlio dall’arresto, e si fa accettare da lui.
Niente omaggi alla Napoli da cartolina, ma una storia di una doppia orfanezza: quella di un figlio senza padre che di un padre ne ha però bisogno e lo cerca tra ribellione e speranza, e quella di un padre che non rinuncia ad esserlo ed è pronto a tutto, a cambiare programmi di vita. Nessun folclore, ma una storia attuale, talora commovente e commossa, anche dura, filmata da un regista capace di trovare interpreti giusti e ritmo rapido e sincero.
Altra cosa è Il Corpo di Vincenzo Alfieri, un thriller con suggestioni misteriose, molto ben fatto con scene che si incastrano l’una nell’altra. Rebecca (Claudia Gerini) ricca imprenditrice ha sposato un giovane scienziato, ma viene trovata morta ed il suo cadavere scompare. Il commissario barbuto non crede all’innocenza del giovane rampante, lo esaspera con la sua aria tra il beffardo e l’ironico. L’intero film è alla ricerca di altri possibili colpevoli e la ragnatela si fa complessa tra supposizioni, colpi di scena notturni, piovosi, lugubri. Il colpevole finirà in carcere. Ma è davvero lui il colpevole? Il vero protagonista, più che il corpo della Gerini e il giovane Andrea Di Luigi è il commissario Giuseppe Battiston, figura inquietante, in una interpretazione di alto livello. Alfieri dirige con intelligenza, incisività, in un noir dove la verità si fa strada non come luce ma come dolore profondo e irrisolto. Capace anche di ingiustizie. Molto ben fatto.
Riecco Gioacchino da Fiore, eretico medievale e profeta, ne Il monaco che vinse l’Apocalisse di Jordan River. Un thriller mistico, se si vuole, in cui il monaco (Francesco Turbanti) vagabonda per foreste e monasteri, dialoga col papa e con Riccardo Cuor di leone, è perseguitato ma non demorde nella sua ricerca. Vedrà il paradiso, prima di Dante, supererà l’Apocalisse? Film poetico e profondo sulla speranza, sul rischio di vedere ogni giorno nuovo aperto a infinite possibilità. A svelare segreti della vita. Attualissimo, perché tutti siamo un po’ Gioacchino da Fiore. Ispirato e sobrio, un film sulla luce, nella natura e nella vita.