Non c'è da stupirsi che il movente della tragica sparatoria che ha fatto 14 morti in California sia jihadista. Da tempo gli osservatori più attenti e indipendenti hanno lanciato l'allarme. Questa non è una guerra convenzionale, è asimmetrica, è spuria, è "culturale". E perciò ha bisogno di armi non convenzionali, non servono le bombe ma i libri e l'accoglienza. Non basta l'intelligence ma servono le Ong e la società civile.
Così la strage si San Bernardino mi sembra confermare tra l'altro che:
1. Il terrorismo jihadista marcato Daesh può annidarsi ovunque ed è perciò quasi impossibile da controllare;
2. Nessun Paese è al riparo da essere colpito;
3. È post-qaedista, perché usa senza problemi le tecnologie digitali;
4. Ha solo rapporti ideologici e non "religiosi" in senso stretto con l'islam radicale wahhabita e salafita;
5. Si nutre dell'indottrinamento non tanto degli imam stanziali delle moschee tradizionali, quanto di quelli digitali o nomadi;
6. Colpisce in modi sempre diversi perché non è inquadrato militarmente;
7. Cresce soprattutto nei luoghi di immigrazione scarsamente integrati nei quartieri cittadini circostanti;
8. Arruola immigrati di seconda o terza generazione che avvertono una grande insoddisfazione culturale e religiosa;
9. Non è più esclusivamente maschile;
10. Non ha strategie né visioni di lungo respiro. Talvolta non vuole nemmeno averle limitandosi al momento isolato dei kamikaze;
11. S'annida nel cuore perfino di gente insospettabile e quindi non identificabile;
12. Si nutre di un sordo sentimento di ingiustizia e disperazione esistenziale, e perciò è più radicato.
Per tutte queste ragioni e per tante altre ancora, come si può mai pensare che bastino operazioni di polizia, di intelligence o belliche per sconfiggere la piovra tentacolare del terrorismo jihadista di marca Daesh? Se non si avvia una profonda operazione culturale, economica e politica volta a ridurre la frattura creatasi tra certo mondo occidentale e certo mondo islamista tra vent'anni saremo ancora in guerra.