La storia parte da lontano. Nel 1990 una riforma di legge ha introdotto l’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare. All’epoca era intenzione del legislatore affidare la materia a uno dei tre docenti che gestivano il modulo: non si era, infatti, ancora ritornati al maestro unico. Questo insegnante, quindi, avrebbe dovuto possedere competenze specifiche del campo.
Nella fase di transizione e in attesa di acquisire queste specificità, l’insegnamento era stato affidato a uno specialista, un insegnante cioè il cui intervento si limitava all’educazione linguistica dei piccoli discenti. I piatti della bilancia pendevano a tutto vantaggio di un insegnante che non solo della lingua conosceva approfonditamente regole e usi, ma che sapeva parlarla con una corretta pronuncia (maturata, magari, dopo anni di studi all’estero) e che possedeva metodologie e strategie didattiche per insegnarla.
Ora la nuova riforma introdotta dal ministro Gelmini prevede che l’insegnamento della lingua inglese torni a essere affidato all’insegnante unico, opportunamente specializzato. Si precisa nella legge del 2008: «Si dovrà prevedere pertanto ad un piano di formazione linguistica obbligatoria della durata di 150-200 ore attraverso l’utilizzo, come formatori, di docenti specializzati e di docenti di lingua della scuola secondaria di I grado».
La modalità dell’intervento è certamente discutibile e di segno contrario a quanto avviene negli altri gradi del percorso formativo dello studente. Nella scuola secondaria per esempio, si è avanzata la necessità di un rafforzamento delle competenze linguistiche, essenziale per una presenza più competitiva dei giovani italiani all’interno del mercato europeo. Se questa è l’intenzione, l’insegnamento della lingua straniera per alunni così piccoli e dunque con maggiori capacità di apprendimento, dovrebbe meritare una cura straordinaria. Come affidarlo allora a insegnanti che, nel giro di così poco tempo e in modo così approssimativo, acquisiranno assai difficilmente le competenze necessarie per svolgere il compito loro assegnato? A maggior ragione se, diversamente da quanto avviene, bisognerebbe avviare i giovani allo studio di più lingue straniere e non del solo inglese, come invece è la prassi.
Vengono in evidenza i limiti di un intervento nato dall’esigenza di porre riparo a una difficile situazione economica, come quella evidenziata nella finanziaria, intervento che ha poco a che fare con le reali esigenze della scuola. Se “chi bene inizia, è a metà dell’opera”, per i piccoli discenti delle elementari il traguardo sembra destinato a spostarsi di molto.