Quest’anno ricorre il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani (DUDU), firmata il 10 dicembre 1948. Come spiegano le Nazioni Unite (Onu), questo storico documento sancisce i diritti inalienabili che ogni persona ha in quanto essere umano, indipendentemente da razza, religione, sesso, orientamento sessuale, identità di genere, lingua, opinione politica, classe sociale o qualsiasi altro status.
La Dichiarazione è stata proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi e ha stabilito, per la prima volta, i diritti umani fondamentali da tutelare a livello mondiale. Nessuno dei 56 membri dell’Onu ha votato contro il testo, anche se Sudafrica, Arabia Saudita e Unione Sovietica si sono astenuti. Il documento, disponibile in più di 500 lingue, include i diritti civili e politici, come il diritto alla vita, alla libertà e alla dignità, nonché i diritti economici, sociali e culturali, la sicurezza sociale, la salute e un alloggio adeguato, tra gli altri. In questo modo, i 30 articoli che compongono il testo sono diventati un riferimento per la legge universale sui diritti umani.
Per la commemorazione di quest’anno, si è sviluppata una campagna incentrata sull’universalità, il progresso e l’impegno. I diritti evidenziati sono stati la dignità, la libertà e la giustizia. Dall’adozione della Dichiarazione si è assistito a un maggiore riconoscimento dei diritti, anche tra i gruppi più vulnerabili come le persone con disabilità, le popolazioni indigene e i migranti. Tuttavia, le Nazioni Unite riconoscono le sfide rimanenti per la loro effettiva realizzazione.
Il ruolo delle donne nella DUDU
A causa dell’orrore della Seconda guerra mondiale, la comunità internazionale si impegnò a non permettere altre atrocità, e così si decise di integrare la Carta delle Nazioni Unite con una tabella di marcia per garantire i diritti di tutte le persone. Questo documento diventerà la Dichiarazione universale dei diritti umani.
L’Assemblea ha rivisto questa bozza di dichiarazione sui diritti umani e le libertà fondamentali e l’ha trasmessa al Consiglio Economico e Sociale perché fosse esaminata dalla Commissione per i Diritti Umani per preparare il testo finale. La Commissione era composta da 18 membri di diversa estrazione politica, culturale e religiosa. Eleanor Roosevelt fu nominata delegata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1946, diventando la prima presidente della Commissione per i diritti umani e svolgendo un ruolo fondamentale nella stesura della Dichiarazione.
Tuttavia, non è stata l’unica donna il cui lavoro è stato essenziale per la formazione della DUDU. L’Onu ricorda alcune di queste donne dimenticate. Tra il 1947 e il 1948, c’era un’altra delegata alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite: Hansa Mehta, una sostenitrice dei diritti delle donne sia in India che all’estero. A lei si deve il merito di aver cambiato la frase «Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali» in «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali» all’interno dell’articolo 1.
Da parte sua, Minerva Bernardino, diplomatica e leader femminista della Repubblica Dominicana, ha svolto un ruolo chiave nell’inclusione dell‘«uguaglianza dei diritti di uomini e donne» nel preambolo. Inoltre, insieme ad altre donne latinoamericane (la brasiliana Bertha Lutz e l’uruguaiana Isabel de Vidal), difese l’inclusione dei diritti delle donne e della non discriminazione sessuale nella Carta delle Nazioni Unite, che nel 1945 divenne il primo accordo internazionale a riconoscere la parità di diritti tra i sessi.
Un’altra donna di spicco è stata la pakistana Begum Shaista Ikramullah, che in qualità di delegata al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale (il Comitato per gli Affari Sociali, Umanitari e Culturali), ha sostenuto l’enfasi sulla libertà, l’uguaglianza e la libera scelta nel testo. Ha inoltre contribuito all’inserimento dell’articolo 16 sull’uguaglianza dei diritti coniugali per combattere i matrimoni infantili e forzati.
La danese Bodil Begtrup, presidente della Sottocommissione sullo status delle donne nel 1946 e successivamente, nel 1947, della Commissione sullo status delle donne, sostenne che la Dichiarazione dovesse riferirsi ai titolari dei diritti come «tutti» o «ogni persona», piuttosto che «tutti gli uomini». Propose anche l’inclusione delle minoranze nell’art. 26, un fatto che fu riconosciuto solo in seguito.
Le successe la francese Marie-Hélène Lefaucheux, in qualità di presidente della stessa Commissione nel 1948, che difese l’inclusione di una menzione di non discriminazione sulla base del sesso nell’art. 2. Per quanto riguarda il riconoscimento della parità di retribuzione, i ringraziamenti vanno a Evdokia Uralova, della Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa, che fu relatrice della Commissione sullo status delle donne davanti alla Commissione sui diritti umani nel 1947. Durante il suo mandato ha difeso la parità salariale, sancita dall’art. 23. Inoltre, insieme alla polacca Fryderyka Kalinowska e a Elizavieta Popova dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ha evidenziato i diritti delle persone che vivono in territori non autogestiti (art. 2).
Infine, Lakshmi Menon, delegata dell’India al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale nel 1948, sostenne la ripetizione della non discriminazione sulla base del sesso in tutta la Dichiarazione. Fu anche un’esplicita sostenitrice dell’universalità dei diritti umani e si oppose al concetto di “relativismo coloniale”, sostenendo che se le persone sottoposte a dominazione coloniale non fossero state esplicitamente menzionate, non sarebbero state rappresentate nel termine “tutti”.
«La loro eredità le rende tra le prime donne che hanno lottato per l’uguaglianza e il femminismo, e la lotta per i diritti delle donne e il loro riconoscimento come gruppo sociale distinto e per le violazioni dei diritti umani basate sul genere continua da allora», sottolinea Amnesty International.
Testo originale in spagnolo
Las mujeres tras la Declaración Universal de los Derechos Humanos
Eleanor Roosevelt, Hansa Mehta, Minerva Bernardino, Begum Shaista Ikramullah, Bodil Begtrup, Marie-Hélène Lefaucheux, Evdokia Uralova y Lakshmi Menon fueron algunas de las activistas que lucharon por el reconocimiento de la igualdad de género y dieron forma al texto fundacional de los derechos humanos.
Este año se conmemora el 75 aniversario de la Declaración Universal de los Derechos Humanos (DUDH), que se firmó el 10 de diciembre de 1948. Tal y como explica Naciones Unidas (ONU), este documento histórico consagra los derechos inalienables que toda persona tiene como ser humano, independientemente de su raza, religión, sexo, orientación sexual, identidad de género, idioma, opinión política, clase social o cualquier otra condición.
La Declaración fue proclamada por la Asamblea General de la ONU en París y estableció, por primera vez, los derechos humanos fundamentales que deben protegerse a nivel mundial. Ninguno de los 56 miembros de la ONU votó en contra del texto, aunque Sudáfrica, Arabia Saudita y la Unión Soviética se abstuvieron. Este documento, disponible en más de 500 lenguas, incluye derechos civiles y políticos, como los derechos a la vida, a la libertad y a una vida digna, así como derechos económicos, sociales y culturales, a la seguridad social, la salud y a una vivienda adecuada, entre otros. De esta forma, los 30 artículos que conforman el texto se han convertido en una referencia para la normativa universal en materia de derechos humanos.
Para la conmemoración de este año, se ha llevado a cabo una campaña centrada en la universalidad, el progreso y el compromiso. Los derechos que se han destacado han sido la dignidad, la libertad y la justicia. Desde que se aprobó la Declaración se ha dado un mayor reconocimiento de derechos, también entre los grupos más vulnerables como las personas con discapacidad, los pueblos indígenas y las personas migrantes. No obstante, la ONU reconoce los desafíos pendientes para su consecución de manera efectiva.
El papel de las mujeres en la DUDH
Debido al horror vivido durante la Segunda Guerra Mundial, la comunidad internacional se comprometió a no permitir más atrocidades, por ello se decidió complementar la Carta de la ONU con una hoja de ruta para garantizar los derechos de todas las personas. Dicho documento es el que se convertirá en la Declaración Universal de los Derechos Humanos.
La Asamblea revisó ese proyecto de declaración sobre los derechos humanos y las libertades fundamentales y lo transmitió al Consejo Económico y Social para que lo sometiera al análisis de la Comisión de Derechos Humanos y que esta pudiera preparar el texto definitivo. La Comisión estaba integrada por 18 miembros de diversas formaciones políticas, culturales y religiosas. Eleanor Roosevelt fue nombrada delegada ante la Asamblea General de las Naciones Unidas en 1946, convirtiéndose en la primera presidenta de la Comisión de DDHH, y desempeñó un papel fundamental en la redacción de la Declaración.
No obstante, no fue la única mujer cuyo trabajo fue esencial para dar forma a la DUDH. La ONU rescata a algunas de estas mujeres olvidadas. Entre 1947 y 1948, había otra delegada ante la Comisión de DDHH de la ONU: Hansa Mehta, defensora de los derechos de la mujer tanto en la India como en el extranjero. A ella se le atribuye el mérito de cambiar la frase de «Todos los hombres nacen libres e iguales» a «Todos los seres humanos nacen libres e iguales» en el art.1.
Por su parte, Minerva Bernardino, diplomática y líder feminista de la República Dominicana, tuvo un papel clave en la inclusión de la «igualdad de derechos de hombres y mujeres» en el preámbulo. Además, junto con otras latinoamericanas (la brasileña Bertha Lutz y la uruguaya Isabel de Vidal), defendió la inclusión de los derechos de la mujer y la no discriminación sexual en la Carta de la ONU, que se convirtió en 1945 en el primer acuerdo internacional que reconocía la igualdad de derechos entre sexos.
Otra mujer relevante fue Begum Shaista Ikramullah, de Pakistán, quien en su calidad de delegada de la Tercera Comisión de la Asamblea General (la de Asuntos Sociales, Humanitarios y Culturales), defendió poner de relieve la libertad, la igualdad y la libre elección en el texto. Asimismo, promovió la incorporación del art.16 sobre la igualdad de derechos en el matrimonio para combatir así el matrimonio infantil y forzado.
La danesa Bodil Begtrup, presidenta de la Subcomisión de la Condición Jurídica y Social de la Mujer en 1946 y, más adelante, en 1947, de la Comisión de la Condición Jurídica y Social de la Mujer, defendió que la Declaración se refiriera a los titulares de los derechos como «todos» o «toda persona», en lugar de «todos los hombres». También propuso la inclusión de las minorías en el art. 26, hecho que no fue reconocido hasta más adelante.
Su sucesora en el puesto, la francesa Marie-Hélène Lefaucheux, en su calidad de presidenta de la misma Comisión en 1948, defendió la inclusión de una mención a la no discriminación sexual en el art.2. Respecto al reconocimiento de la igualdad salarial, cabría agradecérselo a Evdokia Uralova, de la República Socialista Soviética de Bielorrusia, que fue la relatora de la Comisión de la Condición Jurídica y Social de la Mujer ante la Comisión de DDHH en 1947. Durante su mandato defendió la igualdad de salario, recogida en el art.23. Además, junto con Fryderyka Kalinowska, de Polonia, y Elizavieta Popova, de la Unión de Repúblicas Socialistas Soviéticas, puso de relieve los derechos de las personas que viven en territorios no autónomos (art.2).
Por último, Lakshmi Menon, delegada de la India ante la Tercera Comisión de la Asamblea General en 1948, abogó por la repetición de la no discriminación sexual a lo largo de la Declaración. Asimismo, defendió abiertamente la universalidad de los derechos humanos y se opuso al concepto del “relativismo colonial”, pues sostenía que, si las personas sometidas a dominación colonial no eran mencionadas de manera explícita, no estarían representadas en la expresión “toda persona”.
«Su legado las convierte en unas de las principales mujeres que lucharon por la igualdad y el feminismo y, desde entonces, continúa la lucha por el derecho de las mujeres y su reconocimiento como grupo social determinado y la vulneración de los derechos humanos por razón de género», subraya Amnistía Internacional.
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