Una conferenza internazionale dei donatori a sostegno della Turchia e della Siria complite da un violento terremoto, lo scorso 6 febbraio, si è svolta a Bruxelles, raccogliendo l’Unione europea (Ue), gli Stati membri dell’Ue, il G20, il Consiglio di cooperazione del Golfo (che comprende Qatar, Kuwait, Bahrein, Arabia Saudita, Oman ed Emirati Arabi Uniti), nonché istituzioni umanitarie e finanziarie internazionali, come la Banca Europea per gli investimenti e la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo.
I partecipanti hanno impegnato 7 miliardi di euro, la maggior parte dei quali provenienti dagli Stati membri dell’Ue e dalle istituzioni finanziarie europee (3,3 miliardi di euro, pari al 54,6% del totale), in donazioni e prestiti per la ricostruzione della Turchia e della Siria. Nello specifico, 6,5 miliardi di euro sono destinati alla Turchia, mentre 950 milioni di euro sono destinati alla Siria. Nonostante questo notevole risultato, il percorso verso la ripresa sarà arduo.
In Turchia, il terremoto ha distrutto o danneggiato centinaia di migliaia di edifici e colpito la vita di 15,8 milioni di persone, causato 3,3 milioni di sfollati e costretto a rifugi temporanei 1,9 milioni di persone; si stima che i costi economici per la ricostruzione e il recupero del patrimonio abitativo e delle infrastrutture è stimato in 103,6 miliardi di dollari, pari al 9% del Pil (Prodotto Interno Lordo) del Paese.
Sebbene lo stanziamento promesso dai donatori sembri una goccia nel mare, questo serve per aviare la ricostruzione. Il governo turco prevede di costruire 650 mila nuove case nella regione e vorrebbe realizzarne circa la metà entro un anno, cosa improbabile. Del resto, una rapida ripresa è importante per aiutare a riavviare le economie locali e tornare alla normalità, soprattutto perché il Paese è chiamato alle elezioni nazionali di maggio con un esito incerto.
Sarebbe altrettanto importante, oltre la ricostruzione materiale, ricostruire la fiducia tra l’Ue e la Turchia. Del resto, se anche l’Ue e la Turchia hanno l’opportunità di lavorare insieme nel prossimo periodo, è improbabile che questo abbia un impatto significativo sulle relazioni bilaterali, poiché queste sono minate da anni di incomprensioni e visioni politiche divergenti.
La situazione è ancora più complicata in Siria, dove si stima che i costi della ricostruzione si attestino a 14,8 miliardi di dollari, dove le persone colpite dai danni provocati dal terremoto sono 8,8 milioni, dove gli sfollati sarebbero 500 mila e dove una forte riluttanza a confrontarsi con il regime di Bashar al-Assad getta un’ombra sul futuro del sostegno europeo al Paese.
Non a caso, l’Ue ha deciso di stanziare dei fondi per gli aiuti di emergenza e bisogni umanitari solo a breve termine, mostrando implicitamente la sua riluttanza a impegnarsi con il regime di Assad sul lungo termine. D’altronde, tale riluttanza è reciproca. Se egli ha accolto ufficialmente con favore l’aiuto europeo, Assad non può attendersi una sua riabilitazione da parte dei Paesi occidentali. Egli è impegnato in uno sforzo diplomatico verso i Paesi arabi, mentre il rapporto con la Russia, giocoforza, resta un elemento chiave della sua politica estera.
__