Molti giornalisti della regione, soprattutto quelli dell’Australia, hanno ripetuto, attraverso le loro testate, lo scetticismo che serpenteggia tra gli analisti della geopolitica orientale: un accordo (tra il resto soffiato all’ultimo momento alla Francia), tra 3 dei 5 membri dell’alleanza anglosassone, “i cinque occhi”, che non è altro che una rete di ascolto e di osservazione particolare a cui partecipano cinque nazioni che hanno in comune la loro origine anglosassone.
“I cinque occhi” hanno interessi di geopolitica comuni ed estesi a tutto il pianeta, per essere più precisi. E sappiamo che gli interessi di geopolitica sono, in definitiva, interessi verso le risorse energetiche e zone d’influenza. Cinque fortissimi alleati, pronti a tutto, pur di non tradire questo patto: ne va delle sopravvivenza degli stessi partecipanti. Solo che in un contesto economico internazionale come quello che stiamo vivendo, col sistema bancario che sembra fare acqua da un continente all’altro (e noi, poveri mortali, non sappiamo che le briciole di quanto sta accadendo a nostra insaputa), è proprio necessario spendere tanto denaro e risorse economiche ed umane, per “contenere la Cina“?
Perché di questo si tratta: una politica, di contenimento della Cina, iniziata il secolo scorso ma che ha radici ben più profonde: basti pensare alla guerra dell’oppio della Gran Bretagna ai danni del popolo cinese, nel XIV secolo: una ferita, tra il resto, che il popolo cinese sente ancora oggi aperta e che l’Occidente non ha mai cercato di sanare. Pertanto, la parola d’ordine attuale, che gira tra gli ambienti militari alleati è la seguente: contenere il colosso cinese, stringendolo in un accerchiamento che ne contenga o almeno ne controlli la porta più importante, da che mondo è mondo: il mare.
Potremmo leggere sotto quest’aspetto la questione di Taiwan e di Hong Kong e l’interessamento, quasi isterico (a seconda del periodo e dell’opportunità a dire il vero) dell’Occidente verso questi due territori, che secondo gli accordi del secolo scorso (e pertanto legalmente) sono territorio cinese e non dell’Occidente, che ha “promesso” di non cercare la secessione dalla madrepatria per nessuna ragione politica. Pena? La guerra. La Cina ha sempre dichiarato (basti vedere gli ultimi 40 anni di relazioni diplomatiche) che non permetterà a nessuna nazione di impossessarsi del suo territorio, fosse anche un “solo metro di terra”. Messaggio chiaro, ma anche universale, possiamo dire: chi acconsente ad essere invaso?
La Cina, dobbiamo sottolinearlo, in questo momento, ha una sola base militare all’estero: a Gibuti, territorio dove tutte le grandi potenze mantengono contingenti militari ben forniti ed agguerriti, per la posizione strategica del territorio. Come dire: nessuno può mancare da Gibuti, perché chi è assente “è perduto”, essendo un passaggio obbligato delle merci (navi) del commercio dall’Asia verso Africa, Medio Oriente ed Europa.
Aukus: questo accordo nefasto, si pone in attacco e non in difesa della pace: costruire sottomarini nucleari in Australia e pertanto militarizzare o meglio “nuclearizzare” tutto il pacifico, non è una cosa da poco: significa la proliferazione delle armi nucleari. Come se non bastassero gli esperimenti nucleari portati a termine dalle forze alleate a largo delle isole Salomone all’insaputa del mondo per 60 anni! Stavolta non si tratterebbe di esperimenti ma di basi militari per sottomarini nucleari, che dall’Australia potrebbero perlustrare il Pacifico ed essere schierati nel mar Meridionale della Cina in qualsiasi momento, vicino agli arcipelaghi contestati da Vietnam, Indonesia, Taiwan, Filippine, Cina, ed ora anche da India e Usa.
Certo è che si tratta, questo pezzo di mare, di un’importanza strategica di primissimo livello, essendo la via del commercio dell’Asia verso l’Europa, il Medio Oriente, l’Africa: chiudere questa via vuol dire “strangolare” la Cina, o costringerla alla guerra. E qui sta la ragione della “nuova via della seta”, perpetrata in questi ultimi 20 anni dalla Cina: un altro sbocco, via terra stavolta, verso l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa (guarda caso passando dall’Afghanistan, abbandonato dalle forze alleate in fretta e furia), che non passi dal mare.
Investimenti ingenti, visti come una nuova colonizzazione da parte degli alleati. Certo, ma anche ingenti investimenti che l’Occidente non riesce o non vuole imitare, forse perché la propria struttura economica non è adeguata, come le sue industrie. La Cina ha denaro sufficiente, le infrastrutture e le aziende pronte a tali investimenti: soprattutto una mentalità di conquista economica non indifferente: questa non s’improvvisa. Poi, naturalmente, il coraggio imprenditoriale e gli uomini adatti per costruire porti, aeroporti, strade, ferrovie in tutto il mondo. È la nuova via della seta, una nuova via di commercio, che non sia, come oggi, solo in mano agli “alleati”. Qui è la sfida, pensiamo noi in Asia: da una parte il commercio e dall’altra le armi. Uno combatte con gli investimenti: il resto del mondo, con i sottomarini.
Il mondo è lontano dall’unità se si vede nell’altra azienda o nell’altra nazione solo e soltanto un competitor: c’è bisogno di una mentalità “vinci vinci” (vinco, vinci? ndr). Cioè, si vince insieme. Basta investire in armi e sottomarini: investiamo in risorse umane ed economiche che creino a loro volta lavoro e occupazione.