In questi giorni, sugli schermi della nostra quotidianità vediamo una valanga di immagini provenienti dalla Russia: manifestazioni di protesta, arresti muscolari, lunghe file ai varchi di frontiera con la Finlandia, aerei presi d’assalto, preghiere per la pace, madri che piangono i loro figli caduti per la patria (forse) nelle trincee del Donbass… Ma poi non succede più nulla, Putin è sempre in sella, il ministro Shoigu annuncia che 300 mila riservisti verranno mobilitati verso l’Ucraina, il ministro Lavrov parla alla tribuna dell’Onu, la tv e i giornali russi titolano a favore del presidente, mentre nemmeno una parola viene spesa sullo scetticismo degli alleati cinese e indiano, Navalny riesce a far filtrare qualche parola dal carcere duro nel quale è rinchiuso ma lo sappiamo già… Perché i russi non si ribellano e non invocano un po’ di democrazia?
Analogamente, ci vengono offerte immagini assai toccanti di giovani donne di Teheran che si tagliano un ciuffo di capelli in segno di solidarietà con Masha, condannata per non aver portato il velo secondo la legge islamica. Ma perché gli iraniani non danno fuoco alle tonache degli ayatollah? Cambio di scena, andiamo nella “misteriosa” Siria, dalle quali sono partiti almeno 8 milioni di persone dal 2011 in qua. Come mai Assad è ancora solidamente in sella di una nazione che non è stata ancora piegata da una ventina d’anni (abbondante) di sanzioni internazionali? A sentire coloro che hanno lasciato il Paese, il capo dello Stato avrebbe i minuti contati… da 20 anni. E ancora, quando, sempre nel 2011, i nostri politici − e i media al loro seguito − cantavano gli osanna per la primavera araba ed esponevano le foto dei pollici macchiati di inchiostro dei votanti in Libia, davano voce ai blogger di piazza Tahrir o ai manifestanti di Khartoum esaltando la forza di convinzione della democrazia sui Paesi retrogradi, la propaganda all’occidentale era all’opera. Nei fatti, poco o nulla è cambiato. Noi aspettiamo che le cose cambino, come la tv ci ha mostrato, perbacco! Ma cosa aspettano a mettere alla gogna i loro dittatori?
Mettiamola giù semplicemente: i corrispondenti o inviati speciali in quei Paesi incriminati, quasi sempre vengono catapultati in un posto particolare dove restano, se va bene, un paio d’anni. Alloggiano nei migliori alberghi, pranzano nei ristoranti frequentati dagli occidentali, confezionano servizi televisivi da 40-45 secondi, se va bene un minuto e 30, scrivono brevi articoli, stazionano permanentemente nelle piazze più conosciute capitale e fanno (onestamente) il loro lavoro, seguendo i dettami dei loro direttori che vogliono si mette in luce solo il politically correct. Chi mai si impegna a passare giorni o settimane nelle province più scure del Paese? Pochi dei giornalisti “ufficiali” hanno il permesso di farlo dai loro direttori, e ancor più dalle autorità locali. Solo i free lance, quelli che scrivono o filmano per conto proprio, “vedono” la realtà, e la diffondono sui canali alternativi grazie a Internet. Per loro la Russia non si riduce alle vie di Mosca, l’Iran non è solo Teheran, la Siria non è ridotta a due o tre rioni di Damasco, la Libia non è solo la piazza verde di Tripoli, l’Algeria non si restringe come una maglia di lana messa in lavatrice alle strade del potere politico di Algeri.
Guarda caso, tutti i Paesi nominati hanno uno scarso tasso di urbanizzazione: le loro popolazioni sono al 70-90% ancora rurali, la gente vive prevalentemente in campagna o in montagna, non ha accesso ai media se non parzialmente, e soprattutto non ha il tempo libero del cittadino, deve lavorare per far vivere la propria famiglia. In massima parte sono devoti ai loro governanti, forse per ignoranza, ma comunque lo sono. E lo sono anche nel momento del voto, rito che viene considerato spesso e volentieri un viatico contro le possibili rivoluzioni che minaccerebbero ulteriormente le loro grame esistenze.
Se Putin a Mosca può contare “solo” sul 50% di opinioni favorevoli, in provincia può invece contare sul 90%. Se gli ayatollah a Teheran sono in minoranza, in provincia sono sostenuti dall’80% della popolazione. Per veder mutate tali percentuali, bisognerebbe che la popolazione rurale fosse ridotta alla fame e che i suoi ragazzi morissero in guerra in numero massiccio, impedendo il prosieguo delle attività agricole. Solo allora la rivoluzione sarebbe capace di mandare a riposo i regimi forti. Ma non è ancora il caso, né in Russia, né in Siria, né in Iran. A mandare a casa Putin non saranno probabilmente i ricchi che possono permettersi un viaggio a 12.135 dollari per un volo Mosca-Dubai, saranno semmai i poveri se non avranno più pane, e se i loro figli morti in guerra supereranno la soglia tollerabile.
(Detto questo, a volte la storia inventa colpi di scena inattesi e lo status quo si rompe in pochi momenti. I Paesi democratici hanno il dovere morale di appoggiare chi vuole maggior libertà, pur rispettando le diversità culturali. Staremo a vedere come evolveranno le cose. Intanto, però, conviene smetterla di credere per rassicurarci che le immagini delle manifestazioni di protesta a Mosca o San Pietroburgo siano lo specchio di un intero Paese).
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