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Alla fine della filiera, caporalato e Grande Distribuzione Organizzata (GDO)

di Jean René Bilongo

- Fonte: Città Nuova

La GDO, che gestisce il 70% dei consumi agroalimentari, è la vera regina della filiera agro alimentare. Da tale posizione impone le regole del gioco, dà le carte, detta legge, sancisce i tempi e soprattutto fissa il prezzo sia a monte che  a valle. L’autore di questo articolo interverrà il 5 ottobre alle ore 18 all’incontro promosso da Città Nuova su “Legalità, ambiente e giustizia sociale. La questione del caporalato tra mercato e mafie”.

Gfo Foto libera aleksandarlittlewolf su Freepik

Le piaghe che infestano l’agricoltura italiana sembrano non conoscere limiti geografici o merceologici.  Persino in alcuni meleti del Trentino Alto Adige, nei campi vitivinicoli del Chianti in Toscana o delle Langhe in Piemonte, emergono agghiaccianti vicende di sfruttamento e di caporalato. Situazioni a dir poco imbarazzanti che insudiciano l’attributo dell’eccellenza riconosciuta a quei prodotti. Certo, la responsabilità primaria è del singolo imprenditore sbieco.

Tuttavia, a un’attenta osservazione delle dinamiche che interagiscono e influiscono sul percorso del singolo prodotto, dal campo fino al carrello della spesa, si palesano sperequazioni che alterano il gioco. Lo schema è semplice: schiacciato da attori e fattori che lo strozzano rispetto alla quotazione reale del suo prodotto, il piccolo imprenditore agricolo è costretto a conferirlo a prezzi umilianti, spesso al di sotto della soglia minima di remunerazione. Cioè il prezzo che i grossisti impongono al piccolo agricoltore spesso non riesce a coprire nemmeno i costi di produzione.

È facile intuire che di conseguenza il piccolo produttore-datore di lavoro si rivarrà a sua volta sull’anello più fragile della catena, cioè il lavoratore, al quale si taglia con l’accetta la retribuzione. Il senso di frustrazione che nasce a monte della filiera è da imputare a un attore preciso: la GDO, la Grande Distribuzione Organizzata. Cioè la rete di commercializzazione dei prodotti, rete capillarmente presente ovunque. Una ragnatela dalle sembianze innocue fatta di supermercati, ipermercati e discount con i loro ordinati scaffali sui quali finiscono sia i prodotti freschi, come frutta e verdura, sia quelli ad alto livello di servizio, come la quarta gamma (ortofrutta fresca, lavata, confezionata e pronta al consumo) e la quinta gamma (frutta e verdure semilavorate, già cotte, confezionate e pronte al consumo), o infine trasformati, come la passata di pomodoro. La GDO, che gestisce il 70% dei consumi agroalimentari, è la vera regina della filiera. Da tale posizione impone le regole del gioco, dà le carte, detta legge, sancisce i tempi e soprattutto fissa il prezzo sia a monte che e a valle.

A monte, al produttore – come già detto –, e a valle, al consumatore. Per capire il ruolo della GDO, è utile seguire la variazione inverosimile che subisce il prezzo di un qualsiasi prodotto, dal campo fino a quando lo si acquista al supermercato. Prendiamo, ad esempio, le clementine di Rosarno. Comprarle sulla pianta, cioè pronte per essere portate nei supermercati, costa pochissimo: 10-12 centesimi al chilo. Un prezzo che non può garantire la remunerazione dell’imprenditore agricolo, al netto di tutti i costi indiretti e diretti, quindi anche il lavoro. Tant’è che alcuni piccoli produttori, nella disperazione, non hanno altra scelta se non di lasciare marcire i piccoli pomi arancioni sulle piante, anziché raccogliere. Perché non conviene.

Le stesse clementine sullo scaffale di un qualsiasi supermercato di Cascia o di un discount di Domodossola saranno proposte al consumatore a un prezzo dieci volte superiore. Per restare sull’ortofrutta, i cui prodotti sono «caratterizzati da un’offerta dispersa, altamente stagionali, deperibili e non facilmente stoccabili, il commercio all’ingrosso rappresenta un passaggio difficilmente eliminabile anche in presenza di un’efficiente organizzazione delle altre fasi» .

La regola è chiara: se vuoi vendere la tua frutta o i tuoi ortaggi, devi cedere ai diktat della GDO. Che impone i suoi prezzi. La forza contrattuale della GDO non si limita ai prodotti freschi. Si estende a tutto il comparto agroalimentare: dalla passata di pomodoro alle confetture, dal latte alle carni. Prendiamo la tradizionale passata di pomodoro. La GDO la propone spesso in promozione o super offerta, a poche decine di centesimi. Il consumatore, afferrandola dallo scaffale, si sente appagato dal sottocosto, specie in questi tempi di vacche magre: cerca l’affare per risparmiare. Lì per lì non pensa che dietro quel barattolo, a prezzo così inverosimilmente vantaggioso, c’è il lavoro di chi ha arato, seminato, innaffiato, raccolto, trasportato, trasformato e imbottigliato. Possibile che il prezzo finale di acquisto sia tanto basso senza che sia stato “sacrificato” qualche pezzo della filiera?

Sempre più scaltra, nella GDO è stato utilizzato un congegno micidiale per i produttori agricoli con inevitabili effetti sui lavoratori: le aste al doppio ribasso, per fortuna in via di estinzione. Il meccanismo è spiegato nell’opuscolo #ASTEnetevi. Grande distribuzione organizzata. Dalle aste on-line all’inganno del sottocosto , una campagna promossa da Flai-Cgil, Terra Onlus, da Sud e #FilieraSporca: «la partecipazione all’asta avviene a seguito di una prima convocazione via e-mail da parte della GDO, che chiede a tutti i fornitori di proporre un prezzo per la vendita di un determinato stock di merce. Raccolte tutte le offerte, il committente convoca un nuovo tender utilizzando quella più bassa come base d’asta. Effettuando il log in su una piattaforma digitale, senza sapere chi siano gli altri partecipanti, il fornitore ha pochi minuti per competere, ribassando ulteriormente nel tentativo di assicurarsi la commessa».

Gli striminziti risultati d’impresa determinati da un simile meccanismo non saranno innocui. Facendo un ragionamento a ritroso e ricomponendo i vari pezzi del puzzle, si capiscono agevolmente alcune delle cause che determinano le sorti degli schiavi nei campi. Su di loro si scaricano le distorsioni della filiera. Di fronte alla crescente assunzione di consapevolezza dei consumatori, alcuni players della stessa GDO cercano di correggere il tiro prendendo le distanze da questi meccanismi. Non vi è ormai dubbio: generano miseria, frustrazione e irrorano i prodotti con la disperazione, le lacrime e il sangue dei lavoratori. Nei campi, nelle stalle e in ogni luogo in cui si producono quei generi che deliziano ogni giorno milioni di palati.

Di tentativi per cambiare passo ce ne sono. Il trinomio “etichettatura, tracciabilità e divieto di vendita sottocosto dei prodotti agroalimentari” esprime la strategia coerente di una necessaria punteggiatura etico-sociale dei rapporti. Spezzare le catene degli invisibili delle campagne passa attraverso il riordino della filiera. Ogni maglia della catena è portatrice di dignità.

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