Non è bastata una devastante pandemia non ancora archiviata − dopo due anni di alti e bassi, di terribili vaticini degli epidemiologi e di valanghe di denaro versate nell’economia − a convincerci che su questo pianeta non possiamo più chiudere le frontiere per stare tranquilli. Questa era la soluzione che tutti o quasi i politici avevano in tasca per cavare le castagne dal fuoco fino alla fine del XX secolo. Eppure, continuiamo a comportarci come se non fossimo destinati a convivere e fosse possibile vivere di inimicizia – quando le cose vanno male a casa nostra, ci inventiamo un nemico esterno, lo faceva già Giulio Cesare – e di isolazionismo – chiudiamo le frontiere perché così evitiamo i contagi pericolosi −, mentre la razionalità evidenzia che ormai separarsi artificialmente è semplicemente dannoso non solo per gli altri, ma anche per noi stessi.
Tre esempi ci danno ragione: il conflitto militare in Ucraina:;le gravi tensioni tra Cina e Stati Uniti, in particolare a proposito di Taiwan; la questione ormai quasi ventennale delle migrazioni verso l’Europa dall’Africa subsahariana. La guerra in Ucraina e la susseguente guerra del gas stanno dimostrando che Russia ed Europa dal conflitto ricavano danni speculari per le rispettive economie. I dati dell’inflazione sono analoghi, il calo del Pil è peggiore in Russia che in Occidente, l’attuale crisi del gas sembra preannunciare gravi problemi nei prossimi mesi in Europa. In ogni caso, al di là di qualche punto percentuale sulle singole voci di bilancio, i danni sono equamente distribuiti. Se la Russia chiudesse i rubinetti del gas definitivamente, i danni provocati dai mancati introiti in Russia sarebbero equivalenti o superiori ai danni provocati alle economie occidentali.
Secondo caso, le crescenti tensioni tra Usa e Cina, che si concretizzano in una rivalità esasperata a proposito di Taiwan (guarda caso, le analogie con il caso ucraino non sono poche), hanno ormai una lunga serie di casi: dalle ricorrenti ondate di guerre commerciali alla separazione delle radici di Internet. Queste tensioni si scontrano contro un dato di fatto: la Cina possiede una quota pari a circa un quinto del complessivo debito estero Usa. Una rottura nelle relazioni tra i due colossi porterebbe la Cina a perdere cifre spaventose anche solo negli interessi maturati, minando contemporaneamente la credibilità finanziaria degli Stati Uniti, i quali avrebbero difficoltà a continuare nella loro politica di deficit. Senza poi considerare i problemi che potrebbero colpire il corso del dollaro. Scherzano col fuoco, i due contendenti, sapendo che una guerra militare tra Cina e Stati Uniti avrebbe conseguenze devastanti sull’intero pianeta, enne volte più del conflitto ucraino.
Anche un problema estremamente complesso come quello delle migrazioni dall’Africa subsahariana verso l’Europa mostra quanto i problemi geopolitici siano ormai talmente interconnessi che cercare di chiudere le frontiere dei Paesi europei verso sud è una misura che può portare risultati solo a brevissimo termine. I flussi possono pure rallentare per qualche mese, ma l’esperienza ormai insegna che il fiume in piena sa trovare nuovi percorsi: quando una via viene interrotta, se ne apre un’altra, spesso e volentieri più precaria e pericolosa della precedente. Sia come sia, l’Europa ha bisogno di lavoratori – circa 100 milioni di qui a 25 anni – ma ne rifiuta alle frontiere un gran numero, creando problemi di grande frustrazione nelle popolazioni dei Paesi di origine, mentre si rinfocola un sentimento anticolonialista che non è solo dettato dagli ordinamenti dello Stato dei singoli Paesi, ma dall’economia che di fatto ancora sottrae ingenti risorse all’Africa. Anche in questo caso i danni sono da ambo le parti. Lo slogan: “Aiutiamoli a casa loro” può anche avere un senso, purché l’aiuto sia reale, con investimenti adeguati e, soprattutto, una mentalità di fiducia e apertura. Non è il caso attuale.
Tre dei tanti casi geopolitici possibili. Ognuno può fare il suo “esercizio di stile” con altri scenari. La razionalità politica – se fosse presa sul serio − direbbe che i tanti ideologi del sovranismo, dell’isolazionismo e del nazionalismo dovrebbero essere rinchiusi nel manicomio della storia. Ma la razionalità è merce rara, e le popolazioni, soprattutto europee, chiedono una sicurezza che non può più esistere se non nell’apertura pur razionale e studiata che sia.