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Cultura > Reportage

Gaza e la sfida per mangiare

di Francesca Campanini

- Fonte: Città Nuova

Un territorio con un’economia fragile, ma che apre paesaggi suggestivi e scene di vita semplice e rurale. La quotidianità a Gaza è difficile per via del conflitto isrelo palestinese ma la gente del posto non si fa abbattere facilmente.

Al Nada, quartiere di Beit Lahia completamente distrutto nella guerra del 2014 e poi ricostruito

Alla frontiera tra Israele e la Striscia di Gaza, a pochi metri da un territorio posto sotto assedio da ormai quindici anni e di fronte al filo spinato che su quel muro alto e grigio di certo non rappresenta un ornamento, ci si prepara a entrare in uno dei territori più blindati al mondo, in una dimensione in cui quotidianamente i diritti vengono negati e le speranze calpestate. Ma Gaza resiste, bella e viva nonostante ci sia chi fa di tutto per abbatterne forza e determinazione.

Bambini studiano alla Moschea al Omari di Gaza City

Nei campi verdi, appena oltre quella barriera, di giorno ci sono i contadini gazawi, con la kufyah in testa per ripararsi dal sole che a giugno non risparmia nemmeno chi è abituato a sopportarlo. Li si scorge chini a raccogliere i frutti della terra. Sono uomini, donne e bambini: chi tiene a bada il cavallo che traina l’aratro, chi guida i furgoni che arrivano sul posto per trasportare il raccolto, chi gestisce il bestiame.

A Gaza ogni azione è resistenza a una violenza di occupazione che non uccide solo quando fa piovere bombe sui tetti dei civili, come è successo per ben quattro volte dall’inizio del blocco della Striscia, ma che ostacola quotidianamente anche le attività di sussistenza della popolazione. Il settore agricolo nella Striscia è in grave difficoltà a causa della carenza di risorse idriche: un problema strutturale aggravato da decenni in cui i livelli di estrazioni di acqua dalle principali falde acquifere non erano sostenibili a lungo termine ed erano effettuate sotto l’esclusivo controllo israeliano dal 1967 al 1995 e, in misura minore, anche dall’ANP dopo gli Accordi di Oslo II, per rispondere alle necessità della popolazione.

A spiegare il motivo del recente peggioramento del problema idrico nella Striscia è Mohammed Al-Bakri, coordinatore generale dell’Union of Agricultural Workers Committee (UAWC). Lo svuotamento della falda acquifera presente nel sottosuolo gazawo ha subito una grave accelerazione quando gli israeliani hanno iniziato a bloccare l’acqua dolce che da Est fluiva verso Occidente. L’hanno fatto installando delle barriere, estraendola e trattenendola, lasciando che l’acqua marina che dovrebbe bagnare solo le coste della Striscia penetrasse ulteriormente nel terreno, fino a due chilometri nell’entroterra. Quell’acqua salata non è utilizzabile per irrigare i campi e allora, accanto alle strutture di desalinizzazione già presenti da anni nella Striscia, l’UAWC insieme alla cooperazione internazionale ha deciso di puntare su nuovi progetti di depurazione delle acque di scarico da impiegare per riuscire a incrementare la produzione agricola.

Porto di Gaza City, caricando il pesce da portare al mercato

Dai campi che si trovano al confine settentrionale fino al porto di Gaza City la strada è breve. Percorrere questo tragitto significa vedere dal finestrino un paesaggio che cambia nel corso di qualche chilometro: dalla campagna alla città, passando di fronte a una serie numerosa di stazioni di polizia, sorpassando carretti trainati da asini e rimanendo al seguito di auto che invece sfrecciano a grande velocità. Una volta arrivati al porto si scorge un paesaggio dominato da diversi colori: il blu del mare, il giallo e l’azzurro delle barche di legno e il bianco della Moschea che si staglia sullo sfondo, nella direzione opposta rispetto a quella verso cui ci volgeremmo per guardare il tramonto.

Sono le sei del mattino e i pescatori stanno rientrando, la battuta di pesca è iniziata alle cinque del pomeriggio precedente ed è durata tutta la notte. Un tempo lunghissimo se si pensa che ogni minuto passato al largo per loro è uno minuto in cui sono sotto la mira dei fucili israeliani. La Striscia è bloccata via terra, aria e anche mare, questo significa che la marina militare israeliana pattuglia le coste gazawe giorno e notte, e non solo. Gli attacchi contro i pescatori in mare sono all’ordine del giorno, sono proprio loro a raccontare come i soldati israeliani aprano fuoco, feriscano e arrestino le persone, danneggino e sequestrino le barche, a volte riconsegnandole ma senza motore oppure rotte.

Pescatori e reti a pochi metri dal Porto di Gaza City

I pescatori gazawi si guardano bene dal superare il limite imposto dalle autorità israeliane: “Chi sbaglia è morto” spiega uno di loro. La loro accortezza è spesso resa vana dal fatto che gli israeliani decidono arbitrariamente con che distanza dalla costa questo limite coincida: anche se ufficialmente è di 20 miglia nautiche, i pescatori si trovano spesso costretti entro le 10, 6, anche 3 miglia. Non serve neanche poi superare effettivamente queste “colonne d’Ercole”, perché i soldati occupanti sparano a vista e di certo non misurano con il righello prima di aprire il fuoco. Le barche, quando non vengono sequestrate, vengono riportate dai pescatori a riva, ma spesso hanno subito dei danni e l’importazione dei pezzi di ricambio è impossibile, ancora una volta per via le limitazioni imposte dalle autorità israeliane alla frontiera. Senza barca i pescatori non possono lavorare, il che significa che non possono guadagnarsi quel pesce che impiegano per sfamare la famiglia e che vendono per qualche shekel al mercato di al Shati camp, uno dei campi profughi più poveri di Gaza City, dove la maggior parte di loro vive.

 

 

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