Il Consiglio europeo ha approvato la proposta della Commissione europea di concedere lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea (Ue) di Ucraina e Moldova. Il vertice dei Capi di Stato e di governo aveva anche da discutere degli aiuti economici all’Ucraina, delle sanzioni contro la Russia, dei tagli alle forniture di energia, del blocco del grano, oltre che dell’adozione dell’euro da parte della Croazia.
I leader dell’Ue hanno concesso lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldova, segnando un punto chiave nel percorso dei Paesi verso una possibile adesione all’Ue. La decisione è arrivata giovedì sera durante una riunione di due giorni del Consiglio europeo a Bruxelles. Entrambi i Paesi hanno chiesto l’adesione nelle settimane successive all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Anche la Georgia ha presentato domanda di adesione, ma giovedì non ha ricevuto lo status di candidato.
In genere, il percorso per entrare nell’Ue, lungo e complesso, richiede molti anni. Infatti, i Paesi candidati devono normalmente attuare un’infinità di riforme per giungere all’adesione. Ma almeno nelle fasi iniziali, i leader dell’Ue si stanno muovendo velocemente per quanto riguarda le domande di Ucraina e Moldova, con una decisione politica molto più che tecnica, per mostrare solidarietà ai Paesi che affrontano le minacce più immediate dalla Russia.
A latere della riunione del Consiglio europeo si è tenuto anche il vertice tra l’Ue e i Paesi dei Balcani occidentali, al quale i capi di Stato e di governo di Serbia, Albania e Macedonia del Nord hanno deciso di partecipare dopo aver inizialmente minacciato di non farlo a causa del veto paventato dalla Bulgaria al percorso di adesione della Macedonia del Nord all’Ue, veto che poi è arrivato puntuale. Il vertice con i leader dei Balcani occidentali è terminato dopo quattro ore con un nulla di fatto.
La Macedonia del Nord, che ha chiesto l’adesione al blocco europeo nel 2004, si è vista respingere nuovamente la domanda a causa del veto bulgaro. Il premier filoccidentale bulgaro, Kiril Petkov, è stato sfiduciato poche ore prima della riunione del Consiglio europeo, cosicché la Bulgaria rischia di andare verso nuove elezioni dove forze populiste e filorusse potrebbero prevalere, quelle stesse forze che si contrappongono alla Macedonia del Nord, considerando il Paese confinante una loro provincia e la lingua macedone un loro dialetto; idea condivisa da molti bulgari, che ricordano quel lontano concetto geopolitico di “grande Bulgaria”. Petkov ha comunicato che solo il Parlamento può decidere sulla questione.
Stop all’adesione anche per l’Albania, che ha presentato la domanda nel 2009, poiché il dossier aperto presso le istituzioni comunitarie è lo stesso. Analogo stop alla Bosnia-Erzegovina, la cui richiesta risale al 2016. Nelle conclusioni del vertice si legge che il Consiglio europeo è pronto a riconoscere la candidatura della Bosnia-Erzegovina e a questo proposito invita la Commissione a riferire senza indugio sull’attuazione delle 14 priorità illustrate nella sua opinione con un’attenzione speciale a quelle misure fondamentali che permettono al Consiglio europeo di riunirsi per decidere la questione.
Eppure «questo è un momento decisivo per l’Unione europea», secondo l’opinione di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: «quella di oggi sarà anche una scelta geopolitica». E, infatti, è tutta una scelta geopolitica quella compiuta dai leader europei. Rispetto alla Georgia, «il Consiglio europeo ha deciso di riconoscerne la prospettiva europea ed è pronto a concedere lo status di candidato una volta affrontate le priorità in sospeso».
Egli ha osservato che «si tratta di un momento importante perché vi è una fortissima volontà politica di rilanciare il processo con i Balcani occidentali per inviare un messaggio molto chiaro e forte», sottolineando che si sta «lavorando con la presidenza di turno francese per presentare proposte, in modo da avviare quanto prima i negoziati con l’Albania e con la Macedonia del Nord», definita come «una priorità assoluta». Infine, egli ha ribadito che verrà fatto «tutto il possibile per raggiungere un risultato su questo importante tema e far sì che tutti gli sforzi compiuti riguardo alla Bosnia-Erzegovina abbiano un effetto positivo per allentare le tensioni politiche nel Paese e garantire il funzionamento delle sue istituzioni».
L’Italia ha chiesto un Consiglio europeo straordinario sull’energia e il gas, da tenersi a luglio. Mario Draghi, presidente del Consiglio dei ministri, mira ad ottenere un’azione più decisa dell’Ue sulla questione energetica, fino all’imposizione di un tetto al prezzo del gas. Se la proposta è appoggiata da alcuni Stati membro, come la Francia, questa è osteggiata da altri come i Paesi Bassi.
Infine, il presidente francese Emmanuel Macron rilancia la proposta di una comunità politica europea, detta anche “Wider Europe” (Europa più larga), per permettere all’Ue di offrire una prospettiva di avvicinamento e attrazione, cooperazione, stabilizzazione, a tutti i Paesi europei che attualmente non sono parte dell’Ue. La proposta non è peregrina, poiché sono decenni che si dibatte sulle prospettive di allargamento e approfondimento dell’Ue, considerando che l’adesione piena al blocco europeo non sarebbe facile per molti Paesi terzi ma che, allo stesso tempo, esiste un vuoto geopolitico che va riempito.
Il quadro è estremamente complicato, come sempre nella grande famiglia europea. Se l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha dichiarato che «l’unanimità è un grande problema», questa non sembra essere messa in discussione e, probabilmente, non lo sarà mai. È infatti interesse di ogni Stato membro tenere un’arma di riserva, in casi particolari, per tutelare i propri interessi, interessi che gli altri Stati membri devono considerare perché, prima o poi, potrebbe toccare a loro ricercare tutela.
La decisione di concedere lo status di candidato all’adesione all’Ue a Ucraina e Moldova è motivata semplicemente dall’esigenza di mostrare alla Russia che l’Ue non intende accettare nessuno nuovo status quo in Europa determinato da un’aggressione militare. Tale scelta comporta comunque delle conseguenze e delle responsabilità, come quella di governare un processo di allargamento che può rivelarsi difficile, che durerà anni, che probabilmente non giungerà mai alla fine, ma che ha già scontentato altri Paesi candidati o che vorrebbero ricevere tale status; una scelta che, però, comporta anche il ripensamento dell’organizzazione dell’Ue e delle sue procedure decisionali.
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