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Ambiente > 50 anni fa a Stoccolma

Olof Palme e la Conferenza ONU sull’ambiente

di Domenico Palermo

- Fonte: Città Nuova

Il fallimento della politica, schiava dello sviluppo predatorio, come se fosse possibile una crescita infinita e senza limiti. Lo spreco colossale di soldi per le armi. L’alleanza disastrosa tra capitalismo e tecnologia.

(AP Photo/Edmar Barros)

La Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972 ha rappresentato il primo tentativo mondiale di rispondere ai molti allarmi lanciati dagli intellettuali, dagli scienziati e dalla società civile sull’inquinamento e la distruzione dell’ambiente, denunciato in molti studi e libri pubblicati negli anni precedenti, tra i quali Primavera silenziosa della Rachel Carson.

Sono passati 50 anni ed il mondo intero, la sua classe politica, imprenditoriale, culturale, ha perso un’occasione, quella di incamminarsi lungo un percorso di conversione ecologica. Quanto siamo lontani dalla prospettiva del Segretario ONU dell’epoca, Kurt Waldheim, e del primo ministro svedese, Olof Palme, che alla Conferenza del 1972 affrontarono il tema dell’inquinamento ambientale dovuto allo sviluppo umano ed economico parlando di pace, come unica via per poter trovare quelle risorse umane ed economiche necessarie per potersi concentrare sulla protezione dell’ambiente. Proprio Olof Palme, in un passaggio del suo intervento alla Conferenza di Stoccolma (disponibile integralmente al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=0dGIsMEQYgI&t=14s) affermò che «è terrificante che (…) immense risorse continuino ad essere consumate in armamenti per alimentare conflitti armati, sprecando e minacciando ancora di più l’ambiente umano. (…) bisogna sostenere il disarmo per eliminare armi nucleari e biologiche».

Waldheim e Palme erano, infatti, ben consci della necessità di costruire una politica fondata sulla pace, l’unica in grado di poter concentrare tutte le energie necessarie per proteggere il nostro comune futuro e preservare l’ambiente per le giovani generazioni, investendo in un cambiamento radicale del modo di consumare e vivere.

Nonostante la visione lungimirante di questi politici, il mondo ha continuato a seguire una politica piegata allo sviluppo predatorio e all’etica del cowboy, fondata sul mito dell’eterna frontiera da raggiungere e superare, nella convinzione errata che non esistono limiti.

In sostanza, il mondo e l’umanità continuano a credere in uno sviluppo infinito che può essere difeso e sostenuto solo con le armi e le guerre necessarie per difendere chi vive nel benessere. Alimentando, così facendo, una spirale fatta di consumo di risorse, sfruttamento del lavoro anche minorile, aumento dell’inquinamento e dei rifiuti da consumo usa e getta.

Olof Palme (AP Photo/BY)

Olof Palme (AP Photo/BY)

La Conferenza ONU di Stoccolma e la speranza in un mondo in pace con la natura

La Conferenza di Stoccolma, tenutasi dal 5 al 16 giugno del 1972, vide la partecipazione di 114 Stati ed adottò, alla conclusione dei lavori, una dichiarazione in 26 principi con un preambolo di 6 punti, nella quale si sottolineava quanto la situazione di degrado ambientale fosse dovuta principalmente ad ignoranza.

Per questo motivo, i principi enunciati nel testo cercarono di delineare un percorso per proteggere l’ambiente partendo dal forte rapporto esistente fra diritti umani e diritto ad un ambiente sano. Nella dichiarazione finale si salvaguardò il diritto sovrano degli Stati di sfruttare le proprie risorse secondo le proprie politiche ambientali, richiamando il dovere di assicurare che le attività esercitate non causino danni all’ambiente di altri Stati o in aree al di fuori dei limiti dei propri confini nazionali.

Questo principio fornì un contributo essenziale per la creazione di nuove norme di diritto internazionale e, proprio in questa assise, si enunciò per la prima volta la necessità che lo sviluppo dovesse essere compatibile con la protezione ambientale, provando a porre i primi limiti. Proprio quest’ultimo principio è stato l’inizio di un percorso per trovare una soluzione ad una antinomia non ancora risolta, coniugare sviluppo e ambiente, cui una prima risposta venne dalla successiva Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su sviluppo e ambiente.

La dichiarazione di Stoccolma aveva ancora una visione riverente verso la crescita e lo sviluppo, presente e futuro, anche perché teneva in debito conto sia il desiderio di aumentare il benessere dei paesi in via di sviluppo, sia il raggiungimento di condizioni di vita migliori per tutti, anche attraverso l’assistenza e la cooperazione.

La Dichiarazione di Stoccolma promosse presso l’Assemblea Generale dell’ONU la creazione dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, un organo sussidiario dotato di una forte autonomia, in cui vengono avviati numerosi negoziati sulle tematiche ambientali. Nel 1988 contribuì alla nascita dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, assieme all’Organizzazione Meteorologica mondiale.

Lo sviluppo inarrestabile e una classe politica fragile

Le prospettive della Conferenza erano molto alte, ma il fallimento della politica mondiale è tutto racchiuso nei 50 anni trascorsi senza esser riusciti a seguire un percorso per cambiare secondo i contenuti delineati dalle Conferenze di Stoccolma e dalla successiva Conferenza di Rio. Il sistema economico in cui viviamo, il capitalismo, unito ad una tecnologia sempre più evoluta, si nutre da sempre di povertà, di contraddizioni, di sfruttamento e di competizione.

La sostenibilità, come oggi la circolarità, sono definizioni che vengono in generale svuotate nel tempo del loro contenuto di cambiamento, in grado di costruire un nuovo modello di sviluppo in cooperazione. Per questo motivo i risultati prodotti non sono stati sufficienti per invertire la rotta e costruire una reale transizione ecologica verso un modello di economia rispettosa dell’uomo dell’ambiente.

Resta la sensazione profonda che abbiamo sprecato 50 anni di possibilità per cambiare realmente la politica e l’economia e iniziare a preservare l’ambiente.

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