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Mondo > In punta di penna

Il digitale in guerra

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Non si può non parlare ancora una volta degli aspetti informatici del conflitto russo-ucraino. Un segno dei tempi, con le sue incognite e le sue speranze

digitale

Il mondo digitale è indiscutibilmente un ambito economico, politico e antropologico di immense potenzialità. Apple ha un budget che supera quello della Spagna, Google supera invece la Svizzera. Cifre immense, da capogiro, tanto che appare ormai evidente che regolare questo comparto industriale e finanziario, commerciale ed economico insieme, sia impresa da titani ma più che necessaria se vogliamo che il nostro futuro non sia governato da privati che sanno tutto di noi e che ci offrono servizi di cui non possiamo fare a meno.

Anche il potere politico deve fare i conti col digitale, come dimostra il fatto che una buona fetta del governo planetario ormai sia finita nelle mani di quella dozzina di grandi imprese mondiali del digitale: per uno sternuto sbagliato di un CEO una società (e i risparmiatori) può perdere miliardi in borsa, o guadagnarne ancora di più per una semplice fake news ottimista sui suoi ricavi. È in ogni caso un mondo che si è espanso ulteriormente sotto la pandemia e che continua a crescere ora in tempo di guerra.

Lo sappiamo tutti, nella vita politica statunitense è ammessa la presenza di lobby, cioè di centri di influenza politica legati a questo o quel settore, e che hanno addirittura la possibilità di finanziare le attività dei parlamentari Usa. Tradizionalmente, queste lobby riguardavano petrolio ed energia, assicurazioni e banche, armamenti, farmaceutici, industria automobilistica e aerospaziale. Oggi – a testimonianza della crescita del settore − si è aggiunto il comparto digitale, che non solo concentra la propria potenza in certi Paesi, ma che ha assunto una natura radicalmente transnazionale. Da qui la difficoltà da parte degli Stati di controllare una tale lobby, di far pagare ai suoi membri le giuste tasse, di controllarne le attività lecite e illecite. Il problema è enorme.

Tantopiù che da decenni si va togliendo valore e si vanno demonizzando le istanze internazionali, che siano l’Onu, l’Oms, la Fao e il Wfp per agricoltura e fame, l’Unhcr dei profughi, l’Unesco per la cultura… Oggi, dopo la pandemia e la guerra, ci si ritrova con la necessità di dare autorità a istanze transnazionali che possano regolare i problemi che superano le normali frontiere. Il digitale è il primo settore che, essendo intrinsecamente transnazionale, necessiterebbe di una regolazione transnazionale, appunto, la pandemia lo ha evidenziato, e ora lo fa la guerra. Serve una nuova governance mondiale, una co-governance, come oggi si dice, che tenga conto della presenza contemporanea di Stati, corporation e società civile.

La guerra russo-ucraina, o russo-occidentale, o ancora Russia-Nato è la prima vera guerra dell’era digitale. E ciò a diversi livelli: se le armi con supporti digitali sono per la prima volta in modo massiccio sperimentate sul terreno – dai droni alle localizzazioni precisissime consentite da satelliti e strumenti vari digitali, dalle armi guidate dalla Rete ai software per il riconoscimento facciale −, contemporaneamente la guerra è anche scesa nel campo dell’informazione digitale con un massiccio intervento delle fake news; se le sanzioni possono essere applicate soprattutto col supporto delle indagini digitali sui conti bancari e le proprietà d’aziende, nel contempo la battaglia diplomatica si gioca anche con le dichiarazioni continuamente cambiate e adattate alla bisogna. C’è ovunque il digitale nella guerra d’Ucraina.

Il digitale, quindi, è attore della crisi attuale, senza dubbio. Viene da chiedersi se il pianeta intero, per certi versi, sia destinato a collassare dopo l’uno-due tra pandemia e guerra, anche se la guerra riguarda solo l’Europa e il campo occidentale, mentre Cina, India e il resto del mondo stanno a guardare prendendo posizione pragmaticamente e non ideologicamente per uno dei due contendenti. A questo proposito si nota l’approfondirsi della frattura tra mondo occidentale (Corea e Giappone, Nuova Zelanda e Australia compresi) e il resto del mondo, che si chiede come mai in Europa si sia fatta una guerra di cui poco si capisce. È questa frattura – che sta ampliandosi anche al digitale − che appare preoccupante, perché potrebbe portare a una nuova guerra fredda planetaria, una guerra di indifferenza tra i due blocchi, non più basati su scelte ideali o ideologiche, ma sulla pragmaticità degli interessi di parte della popolazione mondiale.

Ed ecco che paradossalmente il digitale può anche essere fattore di pace. In cosa può essere utile? Può esserlo per sostenere una certa posizione dialogante, per avvicinare le parti, per sostenere i valori comuni che possono essere utilizzati per avvicinarsi al dialogo e alla pace, anche tra Stati (ecologia integrale docet). E la ricostruzione dell’Ucraina potrebbe essere un’occasione per coinvolgere più attori mondiali, più potenze regionali e mondiali anche grazie al digitale.

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