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Diritto d’asilo e corridoi universitari

di Maurizio Certini

- Fonte: Città Nuova

L’esperienza in atto, sul modello canadese, delle porte aperte delle università come percorso di accoglienza dei giovani rifugiati. Il caso di Firenze

Studenti universitari Foto Pixabay

I corridoi Universitari sono un’esperienza nata da poco tempo e numericamente molto esigua, ma che mette in evidenza un interesse nuovo per gli studenti profughi da parte delle nostre istituzioni, che scoprono il volontariato e cercano con questo una sinergia.

All’inizio di marzo 2017 si è tenuto a Roma un Seminario, organizzato dal Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno dove si è parlato di un Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’Interno, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e l’Università Lateranense, per consentire a studenti titolari di protezione internazionale, di accedere ai corsi di laurea e post laurea nelle università del nostro Paese.

È stato pubblicato un bando per 100 borse di studio, al quale hanno partecipato 23 università e 236 giovani. Punto di riferimento di questa esperienza è stato l’esempio del Canada che va avanti da molti anni.

Poi, nel dicembre 2018, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha preso un impegno adottando il Global Compact sui Rifugiati.

Con questo Patto Globale, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si rivolge ai Governi, alla Società Civile e anche all’Università, chiedendo di favorire iniziative di supporto e percorsi di integrazione per i rifugiati.

Così, viene redatto un documento che mette al centro la condizione dei giovani titolari di Protezione Internazionale che intendono proseguire il loro percorso di Studi o di Ricerca nel Paese di Asilo.

È il Manifesto dell’Università Inclusiva.

Cresce così la consapevolezza che le esperienze culturali, tecniche e intellettuali, dei rifugiati (competenze apprese in varie parti del mondo) possono essere una grande risorsa per i Paesi di accoglienza.

Per questo motivo, anche se in questa operazione appare interessata, comunque si mette si mette al centro la persona e si risponde all’esercizio di un diritto: il diritto internazionale allo studio.

E così è stata costituita una Rete, coordinata da UNHCR, composta da Caritas, Fondazione Migrantes, Diaconia Valdese, Comunità di Sant’Egidio, Ghandy Charity,… con l’adesione delle Università.

E – importante – come soggetto di questa Rete -, il CIMEA (il Centro d’informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche, che offre la consulenza per il riconoscimento dei titoli di studio, anche se non si possono esibire; … perché quando si scappa, … difficilmente ci si porta dietro le pagelle e i diplomi).

Dunque, una sinergia tra Istituzioni pubbliche e varie realtà della Società civile, per far arrivare i giovani in Italia, in modo sicuro e programmato, attraverso un Progetto denominato Uni.Co.Re. (University Corridors for Refugees), che individua e seleziona giovani rifugiati presenti in una struttura per profughi in Etiopia.

Un Progetto che ha l’Obiettivo, entro il 2030, di inserire nel sistema di educazione superiore, il 15% della popolazione rifugiata.

Un obiettivo ambizioso e che può sembrare utopistico, dato che oggi siamo al 3%.

Comunque, la proposta del Manifesto dell’Università Inclusiva per la promozione e l’integrazione sociale attraverso lo studio, ha già l’adesione di 51 università italiane, le quali mettono a disposizione proprie risorse economiche per l’accoglienza degli studenti nei propri alloggi, servizi di tutoraggio e orientamento per l’accoglienza dei giovani che intendono impegnarsi per concludere il percorso magistrale.

Come funziona?

Gli studenti dei cosiddetti Corridoi arrivano in una città, accedono ad una università, sono accolti. Al momento i numeri sono piccoli: 2 in una città, tre in un’altra, 4 o 5 da un’altra parte e così via.

Arrivati sul territorio, perché il progetto abbia successo e ci sia vera integrazione, non basta l’Università!

Occorre la partecipazione di altri soggetti che si mettano in Rete, collegandosi con l’Università e tra di loro, per offrire altri supporti (psicologico, legale, sanitario, familiare, sportivo, spirituale, religioso ecc.)

A Firenze – ma anche a Pisa, so che funziona così. Stiamo facendo questa esperienza dallo scorso anno e tale impegno esiste in altre città universitarie e diocesi non toscane. Se pensiamo ai numeri, rispetto alla moltitudine di persone che vari Centri, associazioni o altre strutture di volontariato diocesane, hanno accolto e sostenuto nel tempo, e alle tante collaborazioni messe in atto, ci viene da sorridere…

Ma qui – è il caso di Firenze che cito, simile ad altri – c’è un valore aggiunto molto importante: la Rete!

Una Rete – riconosciuta da una convenzione -, che vede insieme istituzioni e società civile.

Cioè: Università, ARDSU (Regione), Centro Regionale di salute globale, Caritas, Diaconia Valdese, Centro di Studi Giuridici, Ass. Progetto Arcobaleno e CIS Giorgio La Pira…

Ciascuno offre il proprio specifico contributo in un progetto comune, che ha al centro lo studente rifugiato, perché questi sia protagonista all’interno di un contesto umano per lui nuovo.

Questo ci costringe a interagire a confrontarci a pensare insieme e, attraverso una buona pratica condivisa, a sollecitare insieme, eventualmente, un migliore impegno della politica.

Il Manifesto dell’Università Inclusiva ha senz’altro offerto alle Università uno stimolo a riflettere su questo tema e ad avviare un impegno nuovo.

Dunque, potremmo osservare i Corridoi umanitari per Studenti universitari come un modello strutturale di accoglienza! Ci sono, ad esempio, gli Afghani, arrivati con un ponte aereo, che si sono subito potuti iscrivere all’Università e avere accesso alle Borse di studio regionali.

Al Centro La Pira – dietro richiesta di due professori – abbiamo accolto 4 di questi giovani. Erano a Firenze per specializzarsi. Non hanno nessun tipo di supporto economico, in quanto i loro conti in banca sono stati bloccati.

Oggi le Università ricevono segnalazioni da parte di Centri di Accoglienza, CAS, SIPROIMI, di giovani e ragazze che desiderano continuare gli studi…

Ma non essendo ancora stata regolarizzata la loro presenza (non avendo ancora ottenuto il riconoscimento di Rifugiato), non possono farlo e soprattutto non possono concorrere per la richiesta delle borse erogate dalle Aziende Regionali per il Diritto allo Studio.

Questo interesse per lo studio è un fatto straordinario, e potervi rispondere è molto è importante, perché tra i percorsi di vita possibili per questi ragazzi e ragazze, non ci sia soltanto il lavoro subordinato o, peggio, il lavoro sommerso, come purtroppo ancora oggi è la soluzione più disponibile. Ma ci sia l’opportunità – per chi ha le caratteristiche –  di affacciarsi allo studio e all’Università.

Pensando a questi ragazzi, è anche importante favorire un percorso per farli arrivare preparati all’Università (la lingua, il metodo di studio dei nostri Atenei ecc.) … per non rischiare che perdano la borsa di studio perché non ce la fanno a restare in pari con gli esami.

Per questo ci sembra importante prevedere, all’interno dei Centri di Accoglienza, del SIPROIMI o del CAS un progetto strutturale per l’Orientamento verso percorsi di studio.

E per questo occorre anche un collegamento con i CPA, i Centri (del MIUR) per l’Educazione degli Adulti, rivolti anche agli stranieri, che possono essere utili per un percorso propedeutico all’Università, o per il conseguimento del Diploma, laddove manchi poco.

 

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