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Il lungo percorso della giustizia riparativa

di Laila Simoncelli

- Fonte: Città Nuova

La Restorative Justice (giustizia riparativa) è nata sostanzialmente come reazione alle molte inefficienze e ai vuoti del sistema penale, e dalla necessità di riconsiderare il ruolo della vittima. Dalle prime esperienze nel mondo anglosassone alla Direttiva europea 29 del 2012 fino alla cosiddetta Riforma Cartabia” con la legge n.134 del 2021

Giustizia – Cecilia Fabiano – LaPresse

Per capire cosa vuol dire giustizia riparativa è bene partire dalla riflessione del professor Gustavo Zagrebelsky: «il crimine determina una frattura nelle relazioni sociali. In una società che prenda le distanze dall’idea del capro espiatorio, non dovrebbe il diritto mirare a riparare quella frattura? (..) Si tratta di una prospettiva nuova e antichissima al tempo stesso che potrebbe modificare profondamente le coordinate con le quali concepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte, pur rappresentandone il lato d’un rapporto patologico»[1].

A partire dalle parole dell’autorevole giurista,  il panorama teorico definitorio su cosa sia questa giustizia “riconciliativa” è stato amplissimo.  Volendo prescindere dalla complessità della questione, possiamo definire la Restorative Justice, in modo semplice e metagiuridico, come un nuovo modello d’intervento complesso su conflitti sociali  (originati  da un reato o che si sono espressi attraverso un reato), che si caratterizza per il ricorso a strumenti che promuovono la riparazione dei loro “effetti perversi”  e la riconciliazione tra i partecipanti del conflitto.[2]

La giustizia riparativa è nata sostanzialmente come reazione alle molte inefficienze e ai vuoti del sistema penale, e dalla necessità di riconsiderazione del ruolo della vittima[3] che nel nostro modello tradizionale non ha parte con la propria sfera emotiva e la rielaborazione del fatto subito.

È un nuovo paradigma di Giustizia che vuole operare negli spazi d’interazione sociale con l’obiettivo di innescare un processo di nuove socialità capaci di  rigenerare legami tra le persone e di moltiplicare le possibilità di condividere e affrontare situazioni problematiche, facendo rinascere così il tessuto connettivo spezzato.

La giustizia riparativa lancia una sfida importante, già a partire dal nomen: quella di “superare la logica del castigo, muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso”. Il suo potenziale è enorme perché non pone al centro solo l’autore del reato ma anche la/le vittime che possono partecipare attivamente allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo, attraverso un riconoscimento reciproco che ricuce il patto di cittadinanza che è stato frantumato dalla commissione del reato. Una giustizia nuova e inclusiva che rinnova dall’origine la risposta al crimine commesso.

Storicamente- nella sua prima fase nel mondo anglosassone – la giustizia riparativa si è espressa attraverso pratiche, esperimenti e iniziative locali senza il supporto di basi normative e senza investimenti istituzionali, come tipico dell’approccio empirico della cultura, anche giuridica, dei Paesi di oltreoceano.[4]

Solo alla fine degli anni’80 e all’inizio degli anni ‘90 del 900 in Europa si è manifestata la necessità di riconoscere le esperienze di giustizia riparativa e, soprattutto, di mediazione autore-vittima attraverso disegni di legge destinati principalmente alla giustizia minorile.

Il processo di “normazione” è stato consacrato in ambito europeo con l’approvazione della Raccomandazione del Consiglio d’Europa R (99) 19[5]  concernente la mediazione in materia penale e che così la descrive: «il procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla risoluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente». Tra le più significative e successive norme sovranazionali che si riferiscono alla giustizia riparativa troviamo poi:

  • La Raccomandazione R (2006) 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee § 103 n. 7 [6]
  • Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia (X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del crimine e il trattamento dei detenuti – Vienna 10-17 aprile 2000)
  • Direttiva europea n.29 del 2012

La Direttiva più recente (n.29/12) è quella che più ha segnato l’ingresso negli ordinamenti della Restorative Justice- ed è stata il frutto sostanziale della  Dichiarazione ONU Basic Principles on the use of restorative justice 2000-2002-.

Un passaggio davvero importante che segna formalmente il passaggio dalla responsabilità oggettiva verso qualcosa, alla responsabilità soggettiva verso qualcuno, l’Altro.

In Italia tante sono state le esperienze[7] attivatesi negli anni, e nel corso degli “Stati Generali dell’esecuzione penale” indetti con Decreto 8 maggio 2015 dal ministero della Giustizia[8] con un esame condiviso e analizzando tutta la normativa italiana, il gruppo di esperti aveva concluso in merito considerando «senza dubbio insufficiente l’operato del legislatore in materia di recepimento della Direttiva n. 29/12» e proponendo «modifiche normative in materia di esecuzione delle sanzioni (ord. penit., reg., cod. pen. e cod. proc. pen.), volte a rendere pienamente operativi strumenti e metodi della giustizia riparativa». Era parso indispensabile, in particolare:

  • riconoscere alla giustizia riparativa pari dignità rispetto all’individualizzazione del trattamento in modo da riequilibrare le posizioni di reo e vittima all’esito del processo penale;
  • inserire una norma generale nell’ordinamento penitenziario volta a consentire ai condannati e agli internati per tutti i tipi di reato, l’accesso a programmi di giustizia riparativa in ogni fase dell’esecuzione.

Tuttavia è solo recentemente ed in particolare con la c.d. “Riforma Cartabia”, la legge n.134/2021, mediante i relativi decreti legislativi attuativi, che il legislatore nel nostro Paese si è proposto, di intervenire in maniera puntuale riguardo la “giustizia riparativa”, incentivandola in tutte le sue potenzialità.

Nella sua dimensione applicativa infatti le esperienze sono molteplici – dalla mediazione individuale, vittima /reo, alle espressioni collettive reo/comunità vittima, ai c.d. sentencing/ peacekeeping circles (circoli collettivi per la definizione condivisa col reo del percorso rieducativo più opportuno).

In ogni caso, la caratteristica del coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione è imprescidibile.

È la comunità a dover, e poter svolgere un duplice ruolo, non solo quello riduttivo di destinatario delle politiche di riparazione, ma anche e soprattutto quello di attore sociale nel percorso che muove dall’azione riparativa del reo.

Assunto esperienziale, oltre che antropologico e filosofico, è che la riparazione è più efficace della sanzione criminale nel ristabilire l’unità dell’ordinamento e nel ripristinare l’equilibrio della comunità sociale, incrinato dalla commissione del reato. Un uomo recuperato non è più pericoloso: accanto alla certezza della pena, la certezza del recupero.

Anche gli ordinamenti giuridici vanno “educati” al “penetrante contatto con il fenomeno del crimine nella sua dimensione complessa e relazionale” e a comprendere il reato nella sua più “sconcertante globalità e disarmante verità, intrisa di umana esistenza e di particolari quotidiani”.[9] La vittima pertanto, intesa individualmente o collettivamente, dovrebbe avere un posto d’onore, un posto privilegiato in ogni percorso rieducativo.

Dalla stessa gestione comunicativa e comunitaria del conflitto e dallo svolgimento di concrete attività riparative possono emergere,  indicazioni di comportamento di c.d. prevenzione generale positiva, più incisivamente efficaci e che contribuiscono allo stesso rafforzamento degli standards morali collettivi. Ciò è possibile solo a condizione che si restituisca alla comunità la gestione di questi accadimenti che hanno un impatto significativo sulla loro sicurezza effettiva o percepita.

Il sistema carcerario attuale, nelle sue aberrazioni, è difficilmente convertibile. Solo con nuovi modelli, che costruiscono spazi vitali e luoghi in cui si riconosce il reato come abitato da una condotta umana, pertanto relazionale, si può costruire ex novo.

In conclusione la Giustizia Riparativa con un approccio antagonistico rispetto alla ferita inferta e fondato sulla cura profonda e sulla fiducia, potrebbe davvero attuare una vera e propria Giustizia trasformativa.

 

[1] Gustavo Zagrebelsky, Che cosa si può fare per abolire il carcere, La Repubblica, 23 gennaio 2015.

[2] Howard Zehr, criminologo americano, è considerato il padre della giustizia riparativa, il quale nel testo “Changing Lenses- A new focus for crime and Justice” la definisce come  “un  paradigma che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione  che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”

[3] G. COLOMBO nel docufilm D. TOGNOCCHI, Restorative Justice- viaggio alla scoperta della giustizia riparativa, 2015 – Giustizia riparativa: gestire i conflitti, riparare l’offesa G. MANNOZZI 2018- Il Libro dell’incontro G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, 2015

[4] In letteratura si indica nel cd esperimento di Kitchener la nascita della giustizia riparativa moderna. L’esperimento è descritto nei particolari in Dean Peachey, The Kitchner experiment, in M.Wright – B.Galaway, (a cura di), Mediation and Criminal Justice. Victims, offenders and community, Sage, London 1989

[5] Adottata il 15 settembre 1999

[6] Prevede: “I detenuti che lo desiderano possono partecipare a programmi di giustizia riparativa e riparare le infrazioni commesse”

[7] Per una panoramica delle esperienze https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/sgep_tavolo13_allegato12.pdf  e si veda anche “ Carcere: le Alternative possibili -GIORGIO PIERI 2021

[8] Al seguente link è consultabile integrale il lavoro del Tavolo degli esperti https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_19_1_13.page

[9] Claudia Mazzuccato Appunti per una teoria dignitosa del diritto penale a partire da dalla Restorative Justice 2010

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