Intervenire sulle strutture violente dell’economia, che producono disuguaglianze ed una umanità di scarto che cresce a dismisura, è un percorso necessario, anche se appare velleitario.
Necessario perché ne va della sostenibilità e della sopravvivenza del pianeta, e dell’umanità che lo abita.
Papa Francesco in più occasioni ha legato lo sfruttamento delle persone con le sopraffazioni che il sistema economico globalizzato produce sull’ambiente, e in effetti i diritti umani non possono essere scissi dalla necessità di salvaguardare l’habitat nel quale viviamo, le risorse di cui disponiamo, le condizioni di vita degna che la natura ha apparecchiato per tutti noi.
Intervenire sulle strutture di peccato è un cammino che non prevediamo breve, e questo è certo un momento di bassa marea, nella storia umana. Ma ci sono anche segnali incoraggianti. Le ideologie del Novecento sono crollate, vero, ma altre consapevolezze e visioni sono emerse, su scala globale. Le più forti e universali di tutte è forse proprio quella sui diritti umani e la tutela del creato. Questo la gente lo comprende. Ci sono molte comunità nel mondo attive e impegnate su questo fronte. Abbiamo recentemente sentito parlare dei Sioux alle prese con la difesa delle loro terre ancestrali contro l’oleodotto nel Nord Dakota, che hanno saputo mobilitare al loro fianco il mondo. Sono queste buone pratiche a insegnarci una prospettiva.
Il nostro compito è quello di essere sentinelle, deste, mai accomodanti a soluzioni di ripiego. Ci vuole consapevolezza della complessità e dei tempi lunghi.
Un aspetto del problema, come dice papa Francesco, attiene al concetto del profitto e dell’uso del denaro. Il denaro è un mezzo, un mezzo di relazione umana prima di tutto, e di intermediazione. La divinizzazione del denaro come valore prioritario rappresenta il problema più grande e più grave dal momento che il mondo è governato dai sovrani invisibili del capitale finanziario. Ma è possibile tornare ad usare il denaro come strumento di diritto e di partecipazione delle persone. Declinarlo secondo le logiche della democrazia finanziaria e delle mutualità. Questo prova a fare Banca Popolare Etica, nella sua funzione di intermediazione creditizia.
Rimettere le persone al centro. La stessa cosa che fa l’EDC ridefinendo i contorni e i significati del profitto, che non deve essere demonizzato in assoluto, ma deve essere contrastato come finalità unica e indiscriminata dell’agire umano. EDC e Banca Etica sono due piccole pratiche, ma contagiose. Con Banca Etica vediamo che questa logica di rimessa al centro della persone e dell’ambiente, delle conseguenze non economiche delle azioni economiche, fa marciare meglio l’impresa, la rende più solida, oltre che trasformativa. La finanza è etica solo se è trasformativa, se muta le cause distali e prossime dell’impoverimento.
Esiste il rischio di una deriva filantropica? Certo, è un rischio culturale che non possiamo non considerare. La filantropia va di gran moda, è la declinazione più avanzata e attraente del capitalismo, e attira con i suoi effetti speciali mondi culturalmente impreparati a vederne i limiti, anche in ambito cristiano. Come una sirena, offre soluzioni facili, di qualche efficacia forse, ma di corto respiro. Ci vuole molta consapevolezza delle pieghe di interessi che si muovono intorno alla filantropia per gestirne il rapporto con maturità e senso del limite, e ciò non è né evidente, né scontato.
Francesco dice che «il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione». Pe reagire a tale riduzionismo occorre una cassetta di diversi attrezzi, tra i quali identificherei, in primo luogo, l’esercizio paziente, accurato, maieutico, incessante e mai accomodante di una pedagogia politica e morale all’altezza delle sfide di questa contemporaneità. Fra conoscere, instillare domande, suggerire possibili interconnessioni, fornire le chiavi di una visione critica che abbia il coraggio e la forza di formulare proposte alternative, piste di lavoro nuove e sperimentazioni profonde di una cifra misurabile del bene comune;
Una leva importante è poi quella della pressione costante nei confronti dei decisori politici ai diversi livelli, senza arrendersi, e facendo della politica «la più alta forma di servizio», come diceva papa Paolo VI.
Ma si toccano le leve dell’economia quando si regolamentano le attività delle aziende, e si costruisce la loro responsabilità penale, ben al di là della responsabilità sociale d’impresa. Si toccano le leve dell’economia con politiche fiscali di redistribuzione delle ricchezze, non solo dentro i Paesi, ma anche tra Paesi, quando si riallinea il piano inclinato che – nel mondo di oggi – fa sì che la partita produca sempre i soliti perdenti ovvero, i soliti vincenti.
Francesco: «È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle “briciole”. Invece, anche solo cinque pani e due pesci possono sfamare le folle se sono la condivisione di tutta la nostra vita. Nella logica del Vangelo, se non si dona tutto non si dona mai abbastanza».
Contributo da Extra CN “Denaro, povertà e futuro. Francesco, l’EdC e il capitalismo”