Fa sempre piacere a un giornalista ricevere lunghe missive di lettori che criticano suoi pezzi: vuol dire che quanto scritto interessa, e parecchio. Lo sappiamo, 99 volte su 10 il lettore lascia la sua critica nella memoria del suo cervello, senza arrivare a far scendere il prodotto dei suoi neuroni sulla carta, o piuttosto sulla tastiera. E fa ancora più piacere ricevere lettere scritte da persone che hanno diversi lustri meno di sé. Così è per questa lettera a cui, per questioni di riservatezza, darò semplicemente un meta-nome, cioè “Realtà”.
«Dopo aver letto il tuo articolo mi sono molto adirato. Non ritengo giusto parlare di cose che non ti competono in questi termini usando il latino e composizioni di parole forbite, per dare peso a un’opinione che aleggia lungo tutto l’articolo, sintetizzabile in “la tecnologia è il male, ma dove andremo a finire signora mia!”. Tolti gli effetti speciali a cui Hollywood ci ha abituati da sempre, quello che ha proposto sono tecnologie che sono in sviluppo da prima del 2005 e che dopo l’acquisizione di Oculus nel 2014 (un’azienda che lavora su tecnologia di caschi per la realtà virtuale) da parte della stessa Facebook, ancora stenta a trovare un mercato e quindi hanno cercato di inventarselo, e sono anni che ci lavorano, con sparate anche più grosse».
Dunque, caro Realtà, mi dispiace che tu non abbia capito che il mio articolo voleva essere umoristico. Evidentemente è un genere che non mi confà. Perché credo profondamente che il digitale racchiuda un enorme potenziale positivo, creativo, innovativo. E chi ascolta le mie lezioni lo sa. Detto questo, che l’operazione di Zuckerberg sia commerciale è più che evidente, ma non per questo accetto che si dicano scemenze per vendere di più, o si immagini un futuro inesistente e in cui, soprattutto, il dollaro la faccia da padrone e si faccia beffe della bellezza della persona umana nella sua individualità e nella sua razionalità.
«Il mito che la tecnologia separa, passami il termine, è una “stronzata” da “boomer”. Vedi come esempio Zoom durante la pandemia, e tutti gli studi, accreditati e verificati, dagli psicologi della comunità scientifica. Pensa, perfino i giochi violenti come gli sparatutto aumentino la socialità, cooperazione e il senso di appartenenza a un gruppo. Troppo spesso nei giornali passa il messaggio opposto che prende a modello proprio la nicchia problematica, presente in realtà in ogni epoca, sotto forme diverse, e questo articolo a modo suo ha lo stesso problema di base».
Negli anni ’70, caro Realtà, quando avevo la tua età, mi trovai a dover difendere il rock, che ascoltavo appena possibile, da chi accusava Plant, Prince e altri di satanismo, di deviazionismo, di ogni genere di malefatte. Nonostante il rock nelle orecchie, non credo di aver smesso di amare il Vangelo, tutt’altro. Quindi ok, d’accordo con te. Certo, l’abuso può essere nocivo, ma questo discorso vale per il rock come per i videogiochi, come per i romanzi rosa, come per Meta…
«Basta con queste frasi paurose quali “Dio-Zuckerberg” o “nuova fede digitale”, se si deve screditare una persona, che si faccia con fatti veri, non attraverso delle paure metafisiche, come fanno adesso i no-vax che, non capendo nulla di scienza, si permettono di screditare teorie e dati oggettivi mettendo in mezzo sospetti e opinioni che invece appartengo al mondo del gossip».
Ovviamente il mio era un discorso umoristico, ma costato che talvolta il delirio di onnipotenza fa dire a personaggi umanissimi delle castronerie fondamentali sulla propria persona, considerandola un dio o comunque un semi-dio. Zuckerberg ha dimostrato più e più volte di essere un cinico che si atteggia a uomo della Provvidenza. Solo che la Provvidenza è la sua.
«Di questo articolo sono venuto a conoscenza dopo la condivisione da parte di una signora che, non avendo gli strumenti culturali per filtrare la notizia, ha fondamentalmente associato Facebook al nuovo diavolo. Tempo fa ho partecipato a una tua conferenza dove dicevi che non era più possibile verificare bene le notizie a causa della mancanza di tempo, dovuto ai ritmi del ciclo vitale degli articoli che si è ristretto. Non puoi però portare avanti questo terrorismo digitale solo per aumentare le view, è immorale. Se vuoi criticare Facebook, che certamente non è perfetta, fallo per le azioni e le mancanze concrete di cui ha colpa, vedi i Facebook Papers come ultimo esempio o il pessimo lavoro sull’algoritmo che crea dipendenza. Potrei andare avanti per mesi».
Ok. Gli algoritmi di Facebook dividono e creano dipendenza, non lo dico io, lo dici tu. Ora i messaggi che spedisco non arrivano a tutti, ma solo a coloro che possono polarizzare il mio messaggio, pro o contro, secondo una logica di opposizione che credo non abbia nulla di umano, ma molto di subumano. Ok. Quante tasse paga Zuckerberg? Ok. Ti ricordi i Cambridge Analytics? Ok. Quante società del digitale ha fatto fuori Facebook con una mentalità prettamente monopolistica? Potrei continuare anche io, caro Realtà. Mi appassionano le tecnologie avveniristiche, e ancor più coloro che riescono a dominarle, cosa che io non riesco a fare, non sono un nativo digitale. Ma voglio continuare a pensare che sia possibile raggiungerle senza cinismo. Caro Realtà, viva il digitale, che rende reali sogni prima impossibili. Continua ad appassionarti del digitale e, se puoi, lavoraci pure. Ma continuando a pensare con il tuo cervello, la cosa più preziosa che abbiamo.
P.s. Non credo proprio di essere un “terrorista digitale”, semmai mi accusano di essere sbilanciato nell’altro senso. Certo, senza il digitale le fake news circolavano di meno, ne convieni? Con amicizia ti invito a parlare di tutto ciò dinanzi a uno spritz realissimo.