Nella nostra società, fin da piccoli, ognuno di noi viene esortato a migliorarsi per il raggiungimento di risultati sempre più elevati. Questa pressione può caratterizzare così tanto il corso di tutta la nostra vita che si può parlare di spinta al perfezionismo in ogni aspetto della nostra esistenza, dal lavoro alla sfera relazionale e privata. Non solo ci viene insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato al fine di ottenere l’approvazione altrui, ma andiamo anche a interiorizzare che è giusto avere elevate aspettative su noi stessi. Tuttavia è il caso di parlare di perfezionismo o di sana aspirazione a migliorarsi che spesso può risultare utile al raggiungimento di obiettivi importanti nella nostra vita?
Dal punto di vista psicologico, quando si parla di perfezionismo, si pone l’accento sulla presenza delle aspettative elevate dei perfezionisti che risultano irragionevoli e ben al di sopra della loro reale possibilità. Ci troviamo dunque di fronte al perfezionismo patologico quando è presente una esagerata preoccupazione di commettere errori, si hanno standard personali irragionevoli, insicurezza, bisogno di organizzazione e critiche eccessive da parte dei genitori.
Si può quindi affermare che le persone che hanno paura di sbagliare sono persone con bassa stima di sé e ne consegue che gli errori vengono vissuti come una ulteriore conferma della propria inadeguatezza e mancanza di valore, dovendo rispondere ad un modello ideale irraggiungibile di perfezione. E di conseguenza per rispondere a questo ideale di perfezione ci si paralizza. Perfezionismo infatti significa immobilità e se abbiamo l’esigenza di raggiungere la perfezione, non tenteremo mai nulla e non combineremo mai granché, perché il concetto di perfezione non è applicabile agli esseri umani.
Se abbiamo figli poi, attenzione a non coltivare paralisi e risentimento con l’insistere che facciano del loro meglio: piuttosto parliamo con loro delle cose che amano di più e, se è il caso, incoraggiamoli a fare il possibile in quei campi. Ma in altre attività, il solo fare è più importante del riuscire. Cerchiamo di cambiare il «Fai del tuo meglio» in un semplice «Fai».
Un bambino recepisce facilmente il terribile messaggio che lo porta a misurare il senso del proprio valore sulla base dei suoi insuccessi, e da ciò ne consegue che tenderà ad evitare attività nelle quali non eccelle e anche ad abituarsi ad avere scarsa considerazione di sé. A misurare il proprio valore sulla base dei fallimenti o dei successi, si finisce con sentirsi inetti e buoni a nulla. Invece l’errore non è un ostacolo, ma un trampolino di lancio, e lo sapeva bene l’inventore americano Thomas Edison, il quale dopo una lunga serie di fallimenti, nel mettere a punto la lampadina, disse: «Io non ho fallito molte volte, ho semplicemente trovato molti modi su come non va fatta una lampadina». L’insegnamento che se ne trae è che l’errore è un giudizio sull’esperienza e non un fallimento, poiché la vita è fatta di esperienza.
Gli errori sono dunque una funzione della crescita e della consapevolezza, in quanto requisito fondamentale per qualsiasi processo di apprendimento: è raro e difficile imparare qualcosa senza commetterne affatto. Ogni errore è un passo sempre più vicino al comportamento più efficace e chi non rischia per paura del fallimento ha scarse opportunità di imparare cose nuove e crescere: gli errori non sono uno strumento di misurazione dell’intelligenza o del proprio valore, sono semplicemente dei passi verso un obiettivo.
A volte siamo così talmente occupati a difenderci dagli attacchi della nostra autocritica che perdiamo l’opportunità di ascoltare ciò che gli errori hanno da dirci. Chi li considera come un insegnamento può trarne benefici, al contrario di chi si limita a colpevolizzarsi. Gli errori inoltre sono un componente della spontaneità, ovvero la paura di commetterne inibisce la libera espressione di sé, e se non permettiamo a noi stessi di sbagliare nell’esprimerci, non ci sentiremo mai sicuri e liberi di esprimere nemmeno le cose giuste.
La paura di sbagliare dunque porta all’isolamento e impedisce la spontaneità, perché costringe a vigilare costantemente la nostra espressione e viviamo una vita che non esprime il nostro potenziale e la nostra personalità. Saremo quindi sempre insicuri di noi stessi e timorosi di tutto, impedendoci di porre solide basi anche per la nostra autostima, la quale non ha niente a che vedere con la perfezione, né significa evitare gli errori, bensì significa accettarsi incondizionatamente con difetti e limiti, sia propri che altrui.