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Sant’Alberto Hurtado: «Dare fino a che ti faccia male»

di Alberto Barlocci

- Fonte: Città Nuova

Lo ripeteva Alberto Hurtado, sacerdote gesuita cileno canonizzato nel 2005. Una vita al servizio dei poveri, nei quali vedeva quello stesso Gesù al quale aveva dedicato la sua vita

Alberto Hurtado (da Wikipedia)

Non sono molti i santi sudamericani. Tra questi, il 18 agosto scorso la Chiesa ha ricordato Alberto Hurtado, il secondo santo cileno insieme a Teresa delle Ande. Quella di Hurtado è una figura non solo interessante ma appassionante. In un Paese ed una cultura fortemente classista, Hurtado comprende chiaramente la necessità di farsi carico delle istanze dei poveri. Diranno di lui che è un comunista, una delle più ignobili insinuazioni contro chi opera per la giustizia sociale, spesso formulata da chi fa fatica a comprendere la dimensione sociale del messaggio evangelico. Un po’ come accadeva al vescovo brasiliano Helder Camara quando constatava: «Se do da mangiare ai poveri mi dicono santo, ma se domando perché i poveri hanno fame e stanno così male, dicono che sono comunista».

Alberto si laurea in legge a 22 anni, presso la Cattolica di Santiago. È nato nel 1901 a Viña del Mar, ridente città turistica sul Pacifico, nel seno di una famiglia dell’aristocrazia vasca decaduta. Perde il papà a quattro anni durante una rapina e per tale ragione la famiglia si trasferisce nella capitale. Appena ottenuta la laurea, manifesta la vocazione a far parte dei gesuiti. Viene ordinato sacerdote a Lovanio, in Belgio, dove ottiene il dottorato in Psicologia e Pedagogia. Torna dall’Europa nel 1936, dopo essersi formato in una delle sue passioni: lavorare con i giovani. Per questo sarà prima di tutto professore di religione. Ma comprende anche che non basta, vive con dolore le condizioni di tantissimi giovani immersi nella povertà, i cui genitori sono spesso sfruttati da datori di lavoro formati a un paternalismo dalla pelosa carità. Il Cile di quegli anni, e sarà così fino alla decade del ‘70, è un Paese arretrato, immerso nella povertà del 75% della sua popolazione. Una condizione che Hurtado avverte come profondamente ingiusta frutto di una pessima distribuzione della ricchezza, nonostante il cattolicesimo professato dalle classi abbienti. Farà polemica in tal senso un suo libro dal titolo “Cile è un Paese cattolico?”.

Statua nella sua città natale (da Wikipedia)

Nel 1941 sarà assessore arcidiocesano dell’azione cattolica, ma fonda anche una associazione sindacale (Asich). Sebbene il suo ragionamento teologico non faccia una grinza, ottiene anche l’approvazione di Pio XII, il suo orientamento progressista non piace all’arcivescovo che esige la sua rinuncia a occuparsi dell’Azione cattolica. Hurtado è un uomo dalle forti convinzioni, ma da buon gesuita obbedisce. Sa che i fili della storia sono mossi anche da un’altra logica, più divina e meno umana e ad essa s’abbandona.

Non cessa di adoperarsi per migliorare le condizioni dei poveri. «Eliminare la povertà è impossibile, ma lottare contro questa è un sacro dovere», dirà. Lo si ricorda andare in giro col suo furgone Ford per le strade di Santiago raccogliendo bambini, adulti ed anziani indigenti. Questo suo lavoro farà nascere “Hogar de Cristo”, una istituzione dedicata ai poveri che ancora riscuote tantissima stima. Non ha soste. «Dare fino a che ti faccia male», afferma spesso, un’espressione che evoca quell’ «amare fino a che ti faccia male» di Teresa di Calcutta. Non sta mai fermo. Comprende che i cambiamenti sociali hanno luogo anche attraverso la cultura. É il fondatore di Mensaje (messaggio), tutt’oggi la più prestigiosa rivista cattolica cilena.

Scrive articoli e libri, tiene conferenze. «Chi accetta l’incarnazione, la deve accettare con tutte le sue conseguenze, ed estendere il suo dono non solo a Cristo ma anche al suo Corpo Mistico. E questo è uno dei punti più importanti della vita spirituale: abbandonare il minimo dei vostri fratelli è abbandonare Cristo stesso; sollevare chiunque di essi è sollevare a Cristo in persona», dirà in una sua conferenza. «Soluzioni al problema dell’ingiusta distribuzione dei beni. Il primo principio di soluzione risiede nella nostra fede: dobbiamo credere nella dignità della persona e nella sua elevazione all’ordine soprannaturale», afferma e segnala anche quanto poco i cattolici siano coerenti con detto principio. «Soffriamo forse di fronte ai nostri minatori trattati come animali, di fronte alla sofferenza di migliaia e migliaia di esseri che, come animali, dormono in mezzo a una strada, esposti alle inclemenze del tempo?». E si scandalizza che di fronte a tali condizioni la prima parola che fa capolino siano: “esagerazione”, “prudenza”, “pazienza”, “rassegnazione”. È convinto che il problema non avrà una soluzione finché «non vedremo in loro [i poveri] Cristo».

Durante quegli anni, si direbbe febbrili, Alberto Hurtado semina a piene mani e generosamente. Finché – in pochi mesi – non se lo porta via, a 51 anni, un tumore al pancreas. È il 18 agosto 1952, poi dichiarato “giornata della solidarietà”. La sua vita non cessa di ispirare coloro che hanno a cuore la giustizia.

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