Cade il silenzio attorno al Ddl Zan e si accendono i riflettori sulla riforma della Giustizia a firma Draghi-Cartabia, perché l’Italia ha bisogno di credibilità sociale, politica, economica e gli investitori ( soprattutto quelli esteri), guardano con molta attenzione alla durata dei nostri processi (penali, civili ed amministrativi), con un occhio particolare all’istituto della prescrizione dei reati.
Diversi sono gli articoli di approfondimento che in queste settimane si susseguono, schierando da una parte i garantisti e dall’altra i giustizialisti oppure una categoria di magistrati contro altri giudici o pubblici ministeri, docenti di diritto e procedura penale contro illustri avvocati penalisti e via dicendo.
Ma la prescrizione non era stata cancellata nel 2020? Adesso si vuole reintrodurre questo istituto? No, pare di no, adesso si vorrebbe mutare la prescrizione in improcedibilità che, in verità, non è altro che una prescrizione processuale che andrebbe a sostituire la vecchia prescrizione (sostanziale) correlata all’estinzione del reato.
Mi ritrovo in sintonia con il professore Paolo Ferrua emerito di Diritto processuale penale dell’Università di Torino, secondo il quale, per poter modificare l’istituto della prescrizione, sarebbe comunque necessario intervenire sull’art.112 della Costituzione relativo all’obbligatorietà dell’azione penale: se il reato non è estinto, il processo penale ( scaturito, appunto, dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale) non può evaporare nel nulla con una sentenza cosiddetta di improcedibilità.
Una cosa è certa, come ben ha osservato il Presidente Lattanzi, non si può essere imputati a vita! Ma allora che fare ? Peraltro, detto istituto dell’improcedibilità, superati i due anni in Appello e un anno in Cassazione, comporterebbe l’estinzione del processo ma non del reato il quale esisterebbe fino allo scadere del suo termine di prescrizione naturale divenendo, appunto, un reato non più procedibile.
Quali potrebbero essere gli effetti di tutto ciò? Basti pensare, ad esempio, alla tutela della parte civile che, a fronte dell’evaporazione delle eventuali misura disposte a suo favore, si troverebbe costretta a richiedere le sue legittime pretese risarcitorie davanti al giudice civile. Per non parlare della posizione processuale e sostanziale dell’imputato che viene assolto in primo grado ed in appello il giudizio viene acclarato come improcedibile: in detta circostanza l’accusa, sotto un profilo tecnico-giuridico, resterebbe pendente sino alla prescrizione del reato contestato. Insomma, di questo eventuale ( pessimo e controproducente) risultato, dovremmo essere scontenti tutti quanti, garantisti e giustizialisti.
Viene da chiedersi quale sia il fine, l’utilità e (in ultimo) il valore di questa odierna riforma della giustizia, sempre che sia ancora possibile pensare al diritto come sistema di valori, come magistralmente scriveva il filosofo-giurista Sergio Cotta nel suo capolavoro Il diritto come sistema di valori (Edizioni San Paolo, 2004).
Forse gli intenti della riforma della giustizia in essere sono nobili ma, con tutta franchezza, ho il timore che, ancora una volta, si stia per accelerare sugli obiettivi tralasciando (in maniera a dir poco lacunosa) i contenuti e (soprattutto) le motivazioni che dovrebbero stare alla base di una sana riforma istituzionale della giustizia e del diritto.
Perché diritto e giustizia sono legati tra loro così come il diritto e la giustizia sono in stretta connessione con le persone e la collettività sociale: Come ricordava Sergio Cotta, la persona è il diritto sussistente in quanto antropologicamente e ontologicamente superiore alla comunità in quanto il bene della persona fonda il vero bene della collettività.
Nessuna riforma della giustizia, allora, può essere davvero vincente ( o, come dicono gli economisti, strategica!) se non parte dall’essenza del diritto e quindi dalla persona, dal bene della persona intesa come individuo umano uno e irripetibile.
La riforma Cartabia, ad esempio, quale fine si pone in merito alla rieducazione del condannato carcerato? Quali sono gli aspetti di rinnovamento in materia di diritti umani fondamentali all’interno del carcere o in ordine alle modalità, alle procedure, ai contenuti e ( soprattutto) ai tempi delle misure preventive di custodia cautelare? Mi sono laureato alla Statale di Milano in diritto penale, con una tesi sulla funzione rieducativa della pena ( relatore il chiarissimo prof. Emilio Dolcini), dedicando parte della mia tesi ad un giovane che era stato condannato all’ergastolo: purtroppo, ancora oggi, questo aspetto rieducativo della pena (mirato al reinserimento sociale del soggetto che vive in carcere) passa in secondo piano. Ma che giustizia è una giustizia che non è in grado (o non viene messa in grado) di rieducare il condannato ?
Da ligure, mi sia consentita solo una riflessione attorno alla vicenda del ponte Morandi di Genova: una sana riforma della giustizia non potrà mai sussistere se, detta riforma, non sarà capace (da subito) di riordinare ciò che è stato alterato, violentato e distrutto attraverso un determinato malaffare collettivo (di natura societaria, aziendale, finanziaria, tecnico-amministrativa) che ha fatto sì che un ponte che unisce due promontori (quindi immerso nella natura dove vive l’uomo), crollasse ! Ecco, la giustizia ( ed il diritto), per essere davvero tali, devono ripartire da qui, dalla natura e dall’uomo, per restituire l’ordine violato, per reintegrare l’armonia distrutta.
La riforma della giustizia, come ricordava Sergio Cotta, è dapprima una rivoluzione cosmo-antropologica, cioè la raggiunta consapevolezza della solidarietà vitale dell’uomo con la natura; dobbiamo dare un taglio netto all’antropologia secondo la quale l’uomo è incentrato su se stesso !
Ma vi è un altro aspetto che una sana riforma della giustizia deve tenere in assoluta considerazione: è necessaria una rivoluzione giuridico-politica ove il diritto e la politica sappiano riconoscere l’esigenza di una planetaria solidarietà tra gli uomini e le nazioni e, conseguentemente, il riconoscimento comune di (pochi ma essenziali) principi normativi fondamentali di validità universale, per una rinnovata tutela e garanzia della dignità dell’uomo. Una giustizia ed un diritto elevati, appunto, a sistema di valori fondamentali ( alias, principi costituzionali universali) a tutela dell’intera famiglia umana.
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