È ormai trascorso più di un mese e in Perù ancora non si sa chi sarà il presidente per i prossimi 5 anni. Un vantaggio di appena 40mila voti separava Pedro Castillo, il maestro di sinistra proveniente dalle regioni rurali del Paese, e leader di Perù Libre, da Keiko Fujimori, la leader di Fuerza Popular, partito di destra.
Dopo un iniziale vantaggio di Fujimori durante la prima parte dello scrutinio, motivato dal fatto che si conteggiano prima i seggi della capitale e dei dintorni, i voti provenienti dalle regioni dove Castillo è sostenuto dalla maggior parte degli elettori hanno assottigliato le distanze fino al sorpasso. Nel secondo turno, Castillo avrebbe ottenuto il 50,126% mentre Fujimori avrebbe raccolto il 49,874%.

Pedro Castillo (AP Photo/Martin Mejia)
Ma a quel punto, Fuerza Popular ha cominciato a presentare migliaia di ricorsi rifiutando il risultato ufficiale. Fujimori ed i suoi collaboratori hanno messo in discussione la correttezza delle elezioni, nonostante gli osservatori presenti non avessero rilevato irregolarità degne di nota, da far pensare in una manipolazione dei risultati.
Ciò nonostante le autorità elettorali sono state subissate di impugnazioni, mentre le accuse di brogli sono diventate sempre più insistenti. Il problema è però che finora praticamente tutte le accuse formulate e la richiesta di annullare il secondo turno, per ripeterlo, sono naufragate miseramente nel contradditorio lasciando in chiaro, per chi voglia vedere, che Fuerza Popular ha prodotto accuse ma non prove. In decine di casi si è sostenuto anche che i membri di numerosi seggi elettorali non erano presenti il giorno delle elezioni e che le loro firme sarebbero state contraffatte, ma puntualmente l’accusa si è sciolta come neve al sole quando gli interessati con le loro dichiarazioni giurate hanno smentito l’accusa. Il dibattito ha assunto toni addirittura grotteschi quando uno dei rappresentanti di Fujimori, di fronte all’evidenza di non aver prodotto prove, ha assicurato: «I brogli ci sono stati, ma è difficile provarlo» (sic!).
Le autorità elettorali hanno assicurato che l’analisi di centinaia di atti di scrutinio e di 1088 richieste di nullità si concluderanno verso la metà di luglio, ma si dubita che ciò sia possibile, il che potrebbe far slittare la proclamazione ufficiale e, con essa, la data dell’assunzione presidenziale, che la legge fissa per il 28 luglio.
In queste settimane è successo un po’ di tutto, non escluso un tentativo di “golpe lento”: cercando di forzare la situazione attraverso l’opinione di alti ufficiali in pensione favorevoli ad evitare che Castillo sia presidente. Sono intervenute le ambasciate degli Usa, dell’Unione Europea ed i rappresentanti della Organizzazione degli Stati Americani (Osa) per ribadire che in Perù le elezioni si sono svolte in modo corretto. Alcuni emissari di Fujimori recatisi a Washington, non sono stati neppure ricevuti dai funzionari di massimo rango di Osa. Insomma, di credito Fujimori non ne ha ottenuto nemmeno l’ombra.

Keiko Fujimori (AP Photo/Martin Mejia)
Probabilmente gli obiettivi di questa strategia sono altri. Prima di tutto mantenere viva la polarizzazione tra lo spettro di un governo antidemocratico guidato da comunisti (tutto ancora da dimostrare) e la continuità democratica che sarebbe assicurata da Fujimori. Tra le categorie più abbienti l’idea di brogli ha preso piede, ma più che altro come forma di rifiuto di un governo che potrebbe mettere in discussione il sistema economico liberale, che è funzionale agli interessi delle classi alte del Paese. In secondo luogo, delegittimare un futuro governo che in Parlamento potrebbe essere battuto dal meccanismo di destituzione, visto che Castillo ed i possibili alleati dispongono a mala pena di un terzo dei seggi.
Questo strumento è già stato usato in passato, in modo polemico, per rispedire frettolosamente a casa l’allora presidente Martín Vizcarra, accusato di corruzione mentre era governatore regionale e per fatti che sono ancora in fase di accertamento. Il Parlamento è altamente frammentato e ormai si è scoperto che con facilità ci si può sbarazzare di un presidente scomodo. Il paradosso è che Fujimori è a sua volta sotto processo, dopo aver scontato un anno e mezzo di detenzione in attesa di giudizio, accusata di corruzione, finanziamento illecito e riciclaggio di denaro.
La disputa riafferma senza nessun dubbio la profonda crisi che attraversa il sistema politico peruviano, accentuata dagli interessi economici in gioco.