Sin dalla nascita, e già da prima, l’essere umano porta con sé dei bisogni che lo accompagneranno per tutta la vita. Il loro riconoscimento e accudimento, il modo di accoglierli, di prendersene cura e di ricambiarli definisce la qualità della vita percepita dalla persona, il senso interno di valore, la sua proattività e il livello relazionale che può raggiungere con gli altri.
Accanto ai bisogni primari nutrizionali e di sicurezza, ai bisogni sociali di sviluppo e di autoaffermazione descritti dallo psicologo statunitense Abraham Maslow, la psicologia dà sempre più importanza a quei bisogni emotivi che determinano il senso di esistenza della persona. Tra questi i più comuni sono il bisogno di essere visto, riconosciuto, di essere accolto, di essere capito, di avere un proprio posto, di sentire che l’altro sia felice di vedermi, di essere creduto, di essere amato gratuitamente, di essere ascoltato, di avere sicurezza.
Questi bisogni sono dapprima soddisfatti attraverso l’accudimento che l’infante riceve sin dalla culla. Durante lo sviluppo, attraverso il modo come il bambino e poi il ragazzo viene “trattato” gli si insegna a riconoscerli, dargli valore e pian piano a farsene portavoce. La peculiarità dei bisogni affettivi è che essi possono essere soddisfatti nella relazione, per questo motivo mi piace chiamarli bisogni socio-emotivi.
Se nell’infanzia occorre che ci sia qualcun altro che li soddisfi, nell’età adulta si apprende a soddisfarli da sé. Non si tratta di una forma di ripiegamento su sé stesso quanto piuttosto di una assunzione di responsabilità affinché questi bisogni non vengano trascurati e non si crei così un vuoto affettivo nella persona. Assumerne la responsabilità significa per prima cosa riconoscerli e accoglierli, in un certo senso prenderli e prendersi sul serio come persona, ad esempio non retrocedendo quando gli altri sembrano non comprenderli. Piuttosto imparare a comunicarli e trovare il modo di integrarli con i bisogni dell’altro, oppure integrarli con i propri “doveri”, né posporli, né eliminarli. Questo atteggiamento, che se ci pensiamo è quello naturale del bambino che piange finché qualcuno non si occupa di lui, richiede energia.
Alcune persone hanno difficoltà a prendere sul serio i propri bisogni, anche quando li hanno riconosciuti. Una tendenza è quella di essere eccessivamente accomodanti lasciando tutto lo spazio ai bisogni dell’altro secondo uno schema di pensiero “o io – o tu”. Queste persone pensano che per accudire i propri bisogni devono lottare e che la coesistenza dei propri ed altrui bisogni sia impossibile. Il risultato è una lotta continua per la sopravvivenza emozionale ed esistenziale oppure una oscillazione tra fasi in cui rinunciano a soddisfare i propri per timore di incorrere in un conflitto e fasi in cui quasi aggressivamente pretendono di ricevere le attenzioni mancanti o “dovute”. Altre persone invece non si sentono meritevoli a sufficienza per ricevere o darsi attenzioni e semplicemente abdicano in favore degli altri, fino a sentire un vuoto interno nutrito delle proprie trascuratezze. Altri ancora non prendono sul serio i loro bisogni emozionali perché si aspettano che siano gli altri a dover soddisfare questi bisogni. Delle volte non sanno come fare ad occuparsene da soli, altre volte credono che in base alla loro storia di vita questo “minimo” gli sia dovuto, quasi un contributo per appianare i conti con il passato. Solo che talvolta il vuoto del passato è così grande che se da un lato la persona diventa molto esigente e bisognosa di attenzioni, dall’altra per chi gli sta vicino è quasi impossibile riuscire a colmarlo.
In tutti questi casi si tratta di un errore di interpretazione e di una difficoltà comunicativa.
A livello interpretativo occorre partire dal presupposto che questi bisogni valgono per tutti allo stesso modo e sono dei diritti e quindi allenarsi a correggere quei pensieri disfunzionali che fanno sentire la persona da meno degli altri o in antagonismo con gli altri. L’atto stesso del porsi a confronto è di per se stesso un errore logico. In nessun caso esistono due persone con la medesima struttura, contesto, storia e dotazione di partenza.
A livello comunicativo (al di là dell’esperienza del passato) occorre imparare a farsi portavoce dei propri bisogni, prendersene cura, definire la misura in cui momento per momento occorre soddisfarli e trattarli conseguentemente, trovare il modo come poterli integrare ed interrelare con quelli dell’altro, anche quando questi sembrano essere distanti dai propri come ad esempio il bisogno di silenzio e di riposo di uno e quello di esercitarsi al pianoforte dell’altro.
Una adeguata accoglienza di sé, una appropriata capacità di linguaggio ed un pensiero flessibile e creativo quasi sempre possono aiutare a trovare una soluzione.