Terra, casa, lavoro. Generalmente l’approccio dei credenti e dei teologi verso il magistero petrino consiste nell’analisi – più o meno attenta – dei pronunciamenti, dei discorsi e dei documenti ufficiali. Niente di più sbagliato potrebbe succedere con Bergoglio, che non comunica soltanto con le parole ma anche (forse soprattutto) con i gesti e con le scelte che pone in atto.
Per questa ragione, prima ancora che l’analisi dei discorsi pronunciati nei tre incontri rivolti ai movimenti popolari riuniti a Roma nel 2014 e nel 2016 e a Santa Cruz, in Bolivia, nel 2015, ci si dovrebbe soffermare sul fatto stesso d’aver deciso di convocare e incontrare i movimenti popolari senza dimenticare che già nella cerimonia ufficiale del suo insediamento volle che il cartonero Sergio Sánchez, leader del Movimento dei lavoratori esclusi (Movimiento de Trabajadores Excluidos, Mte), fosse seduto tra le autorità in prima fila. L’incontro dei movimenti popolari convocato da un Dicastero vaticano di per sé costituisce un fatto inedito soprattutto se si considera che forse la maggior parte di coloro che hanno aderito a quelle convocazioni o non sono credenti, nell’accezione tradizionale del termine, o hanno avuto una relazione difficile con la Chiesa intesa tanto come istituzione quanto come dottrina.
Non è un caso che nel corso della consueta conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Bolivia dopo il secondo incontro, a un giornalista che gli chiedeva se non si sentisse a disagio in mezzo a tanti marxisti e anarchici, il papa rispose dicendo che non aveva detto nulla che non fosse nel patrimonio stesso della Dottrina sociale della Chiesa e che era stato continuamente interrotto da applausi. Segno che, forse, i partecipanti la approvavano, si riconoscevano nei suoi contenuti e li condividevano. Difatti nel corso del discorso, il papa aveva detto: «È strano, ma se parlo di questo per alcuni il papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la Dottrina sociale della Chiesa» (papa Francesco, 28 ottobre 2014).
Dare la vita fino alla fine
Di fatto la leadership degli incontri è stata della Confederación de Trabajadores de la Economía Popular (Ctep) e altri gruppi legati a movimenti internazionali come la Global Alliance of Waste Pickers (Alleanza globale dei riciclatori) con la rete Street Net dei venditori ambulanti, il Movimento dei Sem Terra brasiliano e la Via campesina internazionale, la National Slum Dwellers Federation indiana, insieme alla Slum Dwellers International, oltre al Movimento mondiale dei lavoratori cristiani (Mmtc).
Papa Francesco ha definito i movimenti popolari come il «movimento di poveri che non si rassegnano» e noi del “Nord” del mondo facciamo molta fatica a identificarli in maniera esaustiva, forse perché da noi non esistono veri e propri “movimenti popolari”! Leader che hanno consacrato la propria vita alla causa dei poveri fino a donarla totalmente.
Tra i partecipanti agli incontri erano presenti persone che in seguito sono state assassinate a ragione del proprio impegno. Mi preme ricordare Berta Caceres, cofondatrice del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) che, anni prima, mi aveva invitato a un’iniziativa assembleare in un’area del suo Paese sottoposta a sfruttamento e ingiustizie da parte di multinazionali e latifondisti locali e che aveva partecipato al primo incontro dei movimenti popolari a Roma. Appena due anni dopo (2 marzo 2016) venne brutalmente assassinata.
Quando Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires, tutti gli anni celebrava una messa in Piazza de la Constituciòn – la centrale dei traffici illeciti di ogni genere – “Por una patria sin esclavos ni excluidos”, alla quale partecipavano differenti gruppi di emarginati: cartoneros, abitanti dei quartieri marginali, lavoratori illegali, vittime della tratta di persone, famiglie senza tetto, contadini senza terra, venditori ambulanti e artigiani di strada.
Pertanto da papa egli ha inteso semplicemente dare un respiro universale a una realtà e a un abbraccio che – come Chiesa – aveva già da tempo inteso donare a quella comunità locale dell’Argentina. Il primo e più profondo intento del papa è di mostrare un’attenzione profonda e autentica della comunità cristiana universale verso i poveri; il secondo obiettivo è quello di indicare una strada che li porti fuori dalla rassegnazione e infine aprire gli occhi del mondo su un fatto preciso: la miseria non è frutto del caso e tantomeno volontà di Dio, ma la conseguenza diretta di politiche economiche di sfruttamento che puntano al profitto di pochi.
Il papa vuole mostrare al mondo intero come milioni di persone sono sottoposte a una sorta di condanna, a una sottomissione segnata dalla povertà, dallo sfruttamento, dalla mancanza del lavoro, ma soprattutto da una nebbia fitta rispetto al futuro che è assenza di prospettive. Questa “globalizzazione inumana” è accompagnata e sostenuta non soltanto da quelle politiche economiche e dallo sfruttamento operato da chi detiene la maggior parte delle ricchezze del pianeta, ma anche dalla diffusa indifferenza verso la sofferenza.
Sin dall’inizio, Francesco assume alcune categorie essenziali per guardare a queste realtà con un vocabolario comprensibile dagli stessi protagonisti dei movimenti. Come si ripete nelle comunità di base dell’America Latina: «Bisogna avere in corpo l’occhio del povero» e Bergoglio ha adottato sempre questo punto nobile di osservazione per guardare e giudicare il mondo, la società e, soprattutto, il sistema economico imperante. È in questa prospettiva – che è prevalentemente latinoamericana – che sono state adottate le “tre T”, in spagnolo, “tierra, techo, trabajo” (terra, casa, lavoro), come obiettivi degli stessi incontri dei movimenti popolari. A questi si sono aggiunti, soprattutto nell’ultimo incontro, alcuni temi nuovi: “democrazia e popolo”, “cura dell’ambiente e della natura”, “migranti e rifugiati”.
“Terra, casa, lavoro”, quindi, che in termini pratici prevede una riforma agraria integrale, una riforma urbana inclusiva e il ripristino dei diritti di tutti i lavoratori e lavoratrici. Tutto ciò che andiamo considerando, papa Francesco lo espone in modo assolutamente esplicito già nelle prime parole dell’incontro del 28 ottobre 2014 nell’Aula vecchia del Sinodo: «Questo incontro dei movimenti popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa! Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai (…). Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare».
In queste prime battute vi è una sintesi mirabile del cambiamento radicale dello sguardo verso i poveri che Francesco richiede. Essi non sono più semplicemente destinatari di una pur lodevole e significativa volontà di carità, ma diventano protagonisti, soggetti di un cambiamento possibile a favore del quale la Chiesa non esita a schierarsi.
Ma esattamente questa presa di coscienza dei poveri e la solidarietà totale della Chiesa rappresentano un pericolo troppo grande per chi detiene i fili dell’economia mondiale e della grande finanza: proprio quello schierarsi evangelicamente aperto della Chiesa fa pendere il piatto della bilancia verso le ragioni dei poveri, mette a nudo le ingiustizie che si consumano sulla loro pelle e ci sbatte in faccia le loro sofferenze. È in questi tre appuntamenti che Francesco ha chiarito, davanti a tutto il mondo, il suo pensiero riguardo all’economia e ha indicato anche il sogno e il progetto per riscattare le vittime di un sistema profondamente ingiusto.
Il buen vivir
In maniera chiara ed esplicita nel secondo degli appuntamenti papa Francesco chiarisce che «questo sistema (economico, n.d.r.) non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi. E non lo sopporta più la Terra, la sorella Madre Terra, come diceva san Francesco» (Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 9 luglio 2015) e pertanto richiede un cambiamento che non può essere operato da un singolo Stato perché si tratta di questioni globali e vitali.
Il sogno di Francesco è che questo “processo di cambiamento” possa e debba essere innescato dagli stessi poveri che si organizzano, tant’è che egli stesso li definisce “seminatori di cambiamento”.
Nella via di questo cambiamento papa Francesco assume una categoria che è propria della sapienza dei popoli indigeni dell’America Latina e che è stata assunta nella Costituzione della Bolivia: il buen vivir. Si tratta di un’economia che pone l’essere umano in armonia con tutti gli esseri viventi e la natura stessa e stabilisce una relazione stretta tra il bisogno di ciascun individuo e quello sociale o comunitario. Appare chiaro che tutto questo rischia quanto meno di mettere in crisi la proprietà privata, ma papa Francesco chiarisce subito: «La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della Dottrina sociale della Chiesa. È una realtà antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare quando tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei bisogni dei popoli» (Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 9 luglio 2015).
Infine – ed è stato il tema dominante dell’intervento del papa al terzo incontro – dichiara la sua speranza che tutta l’esperienza dei movimenti popolari diventi proposta politica, si elevi a dignità politica per non restare incastrata nella pur bella testimonianza. Con la grande attenzione a evitare «il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere» (Roma, 5 novembre 2016). In conclusione ci pare di poter affermare che papa Francesco e il suo magistero si sia identificato con il percorso dei movimenti popolari al punto da dire: «Le “tre T”, il vostro grido che faccio mio, ha qualcosa di quella intelligenza umile ma al tempo stesso forte e risanatrice. Un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro» (Roma, 5 novembre 2016).
Estratto dal Dossier Francesco edito da Città Nuova