Sfoglia la rivista

Italia > #Felicemente

Disattenzione e problemi del comportamento: quali sono le cause?

di Chiara Spatola

- Fonte: Città Nuova

Cosa c’è dietro dietro la disattenzione dei bambini e i disturbi dell’apprendimento? I fattori sono molteplici, e vanno presi tutti in considerazione.

Bambini a scuola con la mascherina per proteggersi dal Covid. (Alessandra Tarantino/AP)

«Il bambino si distrae facilmente, non ascolta quello che gli viene detto, passa da una cosa all’altra senza portarne a termine nessuna». Accade spesso che genitori ed insegnanti rilevino nei bambini e negli adolescenti problemi legati, in vario modo, alla sfera dell’attenzione. Non sempre, tuttavia, dopo aver rilevato il problema, ci si sofferma a fare un’analisi accurata, che ponga le basi per comprenderlo ed affrontarlo efficacemente.

L’attenzione è infatti una funzione spesso sottovalutata. Tante volte si pensa che per apprendere siano più importanti le capacità logiche, la memoria o le conoscenze pregresse. In realtà, la capacità di prestare attenzione è il canale fondamentale attraverso cui avviene ogni interazione tra la persona e il mondo circostante. Questa abilità non ci serve solo a scuola o in ambito accademico, ma anche nelle semplici azioni della vita quotidiana. Ascoltare un’altra persona, svolgere una sequenza di istruzioni che ci vengono date contemporaneamente, notare dei cambiamenti nella realtà che ci circonda, sono tutte attività in cui la nostra attenzione è fortemente coinvolta. Concentrarsi su un’attività o su un compito non è facile, soprattutto se esso è lungo, o se  percepito dalla persona come difficile o poco stimolante.

Le capacità di attenzione possono differire molto da una persona all’altra, così come avviene per l’agilità sportiva  o per le abilità matematiche. Manifestare difficoltà nel prestare attenzione non rappresenta necessariamente il segnale di un disturbo, può trattarsi ad esempio di un problema transitorio, legato ad un particolare contesto o ad una specifica fase dello sviluppo.

Se però queste difficoltà sono stabili, frequenti ed intense, al punto da ostacolare l’apprendimento, le relazioni sociali  e/o altre aree della vita quotidiana, potremmo essere in presenza di uno specifico disturbo del neuro-sviluppo chiamato “Disturbo da deficit di attenzione/iperattività”, che è spesso indicato con la sigla ADHD (dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder).

Dagli studi epidemiologici condotti in diverse nazioni sappiamo che la prevalenza dell’ADHD è intorno al 3-5 % della popolazione in età scolare.

Sebbene alcuni sintomi del disturbo si manifestino tipicamente già dai primi anni di vita, l’ingresso nella scuola primaria è spesso il momento in cui il disturbo diventa più evidente. I bambini con ADHD sono spesso così  descritti dagli insegnanti: «È intelligente, ma non si applica, si distrae continuamente, si alza dal suo posto senza il permesso, chiacchera spesso con i compagni, disturbando la lezione».

Bambini, ragazzi e anche adulti con ADHD tendono inoltre a commettere numerosi errori di distrazione, a non seguire le istruzioni, specialmente quando sono lunghe e complesse. Cambiano spesso attività, sono disordinati e non riescono ad organizzare il lavoro da svolgere. A queste manifestazioni si può associare l’iperattività, la tendenza cioè ad essere continuamente in movimento o a parlare eccessivamente, non rispettando i turni della conversazione. Può essere presente anche impulsività, cioè la tendenza ad agire prima di aver riflettuto sulle conseguenze del proprio comportamento.

Quando un bambino manifesta questi comportamenti spesso appare svogliato o poco motivato. Tuttavia, non bisognerebbe fermarsi all’apparenza, traendo delle conclusioni basate sul senso comune. Le cause dei problemi di attenzione sono molteplici; si parla infatti di condizioni multifattoriali, determinate da tanti aspetti diversi che interagiscono tra loro.

In uno studio scientifico, che ho condotto nel 2007 insieme ad un gruppo di colleghi dell’Università San Raffaele (pubblicato sulla rivista “Journal of  the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry”) è emerso che l’ADHD è determinato in media per il 56% da fattori genetici e per il  44 % da fattori ambientali unici, cioè  non necessariamente condivisi con i propri fratelli e/o sorelle. Questo suggerisce che alcune delle difficoltà tipiche di questo disturbo siano legate a meccanismi geneticamente determinati, mentre altre sono legate al contesto ambientale ed alle esperienze uniche che ogni persona fa, all’interno e all’esterno della famiglia.

Alla luce di  queste evidenze scientifiche, quando si manifestano difficoltà di attenzione e problemi comportamentali, è importante considerare tutte le variabili in gioco, e non solo quelle più evidenti. Uno strumento fondamentale per fare questo è l’analisi funzionale del comportamento, che permette di comprendere la relazione tra i comportamenti della persona  ed il contesto ambientale che la circonda, nel senso più ampio del termine.

Dopo questa prima fase di osservazione ed analisi, grazie alle informazioni raccolte sarà possibile pianificare un trattamento, se clinicamente necessario, o un supporto per lo sviluppo di strategie più efficaci.

Per coloro che manifestano l’ADHD, e per chi in qualità di genitore, o di insegnante, li accompagna nella loro crescita, è molto importante sviluppare una buona consapevolezza del disturbo e dei meccanismi che lo caratterizzano. È altresì fondamentale per le famiglie essere informate sulle  diverse opportunità di trattamento, che hanno maggiore probabilità di successo se vengono attivate precocemente e se agiscono a più livelli (ad esempio coinvolgendo non solo il bambino/ragazzo ma anche i genitori e la scuola).

 

Riproduzione riservata ©

Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876