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L’unità, segno del Dio trinitario

di Andrea Galluzzi

- Fonte: Città Nuova

Questa quarta ed ultima riflessione sul tema dell’unità viene declinata pensando al Mistero del Dio trinitario così come concepito dalla teologia cristiana e inteso come paradigma di un nuovo modo di agire, di porsi in relazione e di pensare.

La Trinità di Rublev

In ogni esperienza religiosa ci si accorge che cercare di comprendere il Mistero (con la maiuscola) divino non è proprio come provare la validità di una teoria scientifica… ma è qualcosa che sfugge alla capacità di ragionamento umana. Eppure, ogni uomo che percorre il sentiero religioso sente di essere chiamato a quel “qualcosa” da Dio stesso, imparando ad esercitare quella particolare forma di intelligenza che proviene dal cuore e che alimenta quella speranza che diventa certezza nella fede. È proprio in quell’intuizione, in quel “soffio” leggero che si nasconde il Mistero che l’uomo è chiamato a scoprire e che può illuminare anche la sua intelligenza. Ma da dove cominciare?

Ciò che finora si può dire sul Mistero del Dio dei cristiani è frutto della rivelazione storica di Cristo e dalla riflessione della Chiesa, da lui stesso fondata, che si è dispiegata nei duemila anni successivi alla sua venuta. In questa prospettiva, Dio è scoperto ontologicamente (cioè nel suo stesso essere) come una unità dinamica di tre persone – Padre, Figlio, Spirito Santo – legate da una relazione di amore scambievole così profondo da fondere in “uno” i tre, nella distinzione.

Per riuscire a chiarificare e fissare concettualmente questo Mistero, alla luce della testimonianza storica di Gesù e dei suoi primi discepoli, la Chiesa ha dibattuto a lungo e i dogmi dei primi concili del IV e V secolo brillano come il frutto creativo dell’intelligenza umana in dialogo con la Rivelazione. Se dovessimo descrivere in modo semplice il Mistero di Dio-Trinità, potremmo utilizzare le parole amore e unità: l’amore come forza che mette in moto la donazione di sé verso l’altro e l’unità come frutto e segno distintivo di questo scambio.

Queste due parole caratterizzano anche la condizione umana e – sebbene le dinamiche del mondo rivelino spesso il contrario – sembrano scolpite nel nostro DNA. Ogni essere umano, infatti, percepisce il valore della fraternità e in particolare ogni credente potrebbe affermare di sentire in sé la tensione a realizzare il “come in cielo, così in terra” (Mt 6.10) che caratterizza la verità della fede cristiana. Sotto questa spinta, nel corso della storia, il pensiero di ispirazione cristiana (nella teologia, nella filosofia e nella mistica) ha sempre più e sempre meglio intuito che nel Mistero trinitario si può in qualche modo trovare la chiave di interpretazione della realtà; occorre però esercitare “l’intelligenza del cuore” per percepire ciò che è nascosto sotto la superficie delle cose. Se, infatti, come dicono le Scritture, l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, occorre anche rendersi conto che «fra il Creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la differenza»[1].

Fra somiglianza e differenza, fra Mistero e Verità, il modo per poter approcciare la comprensione di cui parliamo passa per l’esercizio dell’amore concreto. Chiara Lubich (1920-2008) – una delle grandi figure mistiche del nostro tempo – scriveva con straordinaria semplicità: «Ho sentito che sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre. Sulla terra tutto è in rapporto d’amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa. Bisogna essere l’Amore per trovare il filo d’oro fra gli esseri»[2].

E ancora – ricordando il “testamento” di Gesù, “Padre che tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21) – afferma: «L’Unità! ma chi potrà azzardarsi a parlare di lei? È ineffabile come Dio! Si sente, si vede, si gode ma… è ineffabile! Tutti godono della sua presenza, tutti soffrono della sua assenza. È pace, gaudio, amore, ardore, clima di eroismo, di somma generosità. È Gesù fra noi»[3].

E proprio Gesù indica la via da seguire per realizzare l’unità fra gli uomini e nel Creato. Si tratta di vedere i rapporti interpersonali, ma anche tutta la realtà, in una particolare prospettiva di dono reciproco. Se volessimo descrivere in breve questa dinamica unificante potremmo usare il termine trinitizzazione. Questa parola, usata sia da Teilhard de Chardin (1881-1955) che da Chiara Lubich, ci riporta a quanto scrive papa Francesco nella Laudato Si’: «Per i cristiani, credere in un Dio unico che è comunione trinitaria porta a pensare che tutta la realtà contiene in sé un’impronta propriamente trinitaria»[4].

Torniamo così, in questa ultima riflessione, ai temi dell’ecologia integrale e della formazione integrale della persona con i quali abbiamo dato inizio a questa serie di approfondimenti. Ci arriviamo con uno sguardo arricchito che – nella prospettiva cristiana, ma forse più universalmente in una prospettiva che desideri essere pienamente umana – ci permette di cogliere di cosa si sostanzi quella integralità: amore che si fa dono ed è capace di conoscere con sapienza; quella sapienza che – per usare le parole di Chiara Lubich – porta a «contemplare Dio e con quella luce negli occhi guardare il mondo e vederci bene»[5].

Le puntate precedenti sono:

Persona ed ecologia integrale

L’unità, segno dei tempi?

Il segno dell’unità nel dialogo interreligioso e interculturale

[1] L’affermazione è del Concilio Lateranense IV (1215).

[2] C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 142

[3] https://www.focolare.org/chiara-lubich/spiritualita-dellunita/unita/

[4] Francesco, Laudato Si’, 2015, § 239

[5] C. Lubich, Discorso inaugurale della Summer School Sophia “Per una cultura dell’unità”, Sophia, I (2008/0), p. 15.
reperibile su: https://www.cittanuova.it/tutte-le-riviste/numero-0-2008

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