Quando le luci si sono abbassate, una sala di 200 ragazzi si è trasformata nella stanza di un 27enne che, come fosse stato solo con un piccolo gruppo di amici, ha iniziato a parlare di come è la sua vita oggi. La vita è difficile. E Meical lo sa benissimo. Seduto, la testa chinata un po’ in basso, nell’aria un silenzio pieno di ascolto, e le sue parole che pian piano iniziano a suonare nel cuore di chi le ascolta. E da che Meical per quei duecento giovani che lo guardano è uno sconosciuto, a che a tutti sembra di conoscerlo da sempre.
Il congresso dei giovani del Movimento dei Focolari è stato questo, un’atmosfera che ha del surreale e delle anime che in poco hanno imparato a conoscersi, a sorridere e a commuoversi insieme. A seguirsi, senza condizioni, così come Gesù chiese agli apostoli (Luca 6, 12-19). A riconnettersi, che è il titolo di questo congresso.
“Re-connect” è stato un grande evento organizzato dai e per i “Gen 2”, i giovani del movimento dei focolari dai 17 ai 30 anni. Primo dopo otto anni nell’Europa Occidentale, ha avuto luogo a Madrid dal 5 all’8 dicembre 2025. Nato come un vero esperimento, non tutti gli ideatori pensavano che si sarebbe giunti a 238 partecipanti da 15 Stati d’Europa (Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda, Francia, Austria, Regno Unito, Romania, Ungheria, Belgio, Svizzera, Malta, Paesi Bassi, Germania, Svezia e Slovacchia).
Tuttavia, la grande meraviglia è stata nel vedere come da congresso locale si è trasformato in uno internazionale. Hanno partecipato infatti giovani e adulti di varie nazionalità, tra cui Argentina, Ecuador, Guinea, Brasile, Pakistan, Malesia, Venezuela, Togo, Egitto, Giordania, Palestina, Burundi, Cile, Nuova Zelanda, Costa D’Avorio e Giappone.
Uno degli obiettivi dell’iniziativa è stato il riconnettersi con sé stessi e con la propria spiritualità. Questa la sfida ambiziosa lanciata durante la prima giornata del congresso. Partendo dal capire cosa sia veramente la preghiera, alla quale è stato dedicato ampio spazio, la si è compresa anche come un momento molto personale per vivere la propria interiorità, che può essere declinata in maniere molto differenti e uniche di persona in persona.
Le toccanti testimonianze di sofferenza hanno introdotto ad una tematica che fino a pochi anni fa ancora veniva sottostimata da gran parte della società: la salute mentale. In maniera del tutto innovativa e, bisogna dire, molto lungimirante, con occhio acuto sul presente, questo congresso ha deciso di approfondire questo aspetto spesso invisibile dell’animo umano, con l’obiettivo di offrire strumenti d’aiuto ai giovani. La partecipazione della psicoterapeuta Elisabeth Ohlboeck, austriaca che vive e lavora a Londra, è stata illuminante in tal senso. La professionista ha spiegato l’importanza di chiamare le cose con il loro nome e di non negare la loro presenza, ma piuttosto portarla allo scoperto, avere il coraggio di chiedere aiuto. Perché ignorare il problema, cercare di allontanarlo, non dargli un nome, può renderlo solo più vicino e rischioso.
Per riconnettersi con Dio attraverso la preghiera, i momenti di riflessione mattutina, l’adorazione e la veglia serale hanno scandito le giornate del congresso, ma in modo tale da rispettare tutte le forme di sensibilità religiosa e spirituale. Oltre alla Messa cattolica, infatti, sono stati organizzati altri momenti di riflessione e condivisione, utili per coloro che vivono la spiritualità in modi diversi. Ad esempio, in questa prospettiva di rispetto e accoglienza, è stata allestita una piccola sala di preghiera per i partecipanti musulmani. Una scelta che ha messo in evidenza non solo l’attenzione all’inclusività, ma anche il desiderio di un dialogo autentico, senza pregiudizi.
L’attenzione ad aprirsi a un confronto intergenerazionale è stata evidente: spazi di ascolto e di scambio hanno favorito l’incontro tra giovani, adulti e persone di diverse vocazioni in un clima di fiducia reciproca e di ricerca comune.

Foto di Inés Seoane
Un altro importante pilastro di questo congresso è stato il riconnettersi alla comunità, alla vita delle “unità gen” del movimento dei focolari, i gruppi di giovani che si dedicano a vivere il carisma di Chiara Lubich. Anche qui, rivoluzionari sotto molti aspetti, sono saliti sul palco Giuseppe Pellegrini, docente universitario, seguito poi dall’intervento di Gianluca Falconi, insegnante, che nel suo discorso ha lanciato una vera provocazione per la platea. Chi è forte non ha bisogno di Dio. Ha poi spiegato la ragione: siamo tutti fragili, peccatori, solo c’è chi non lo ammette a sé stesso, chi non pensa di aver bisogno di amore.
I workshop sono stati numerosi, hanno aiutato i giovani a legare la spiritualità con la natura o con la sessualità. Ancora, laboratori su transizione sostenibile, sulla gestione delle risorse idriche, su mobilità e trasporti, sull’AI, imparando ad applicare i valori di rispetto per il creato e giustizia attraverso la modernità.
Tra tutte le attività proposte vale la pensa soffermarsi anche sul messaggio di pace che si è voluto lanciare. Nel 2025 la guerra nel mondo ha devastato le vite di tanti. A conclusione di un lungo anno complesso, dei ragazzi hanno deciso di parlare di pace. R, (lettera fittizia per indicare uno dei protagonisti di questa storia) è di religione cristiana, nata e cresciuta a Betlemme, in Palestina. Poi c’è Mira, musulmana, che vive in Giordania ma ha origini palestinesi. Sono venute da lontano, per Mira è la prima volta in Europa. Sono riuscite ad ottenere un visto solo per venire a Madrid e parlarci di amore, di sofferenza ma anche della forza della speranza. Per R la guerra non è solo qualcosa che accade fuori e intorno, ma anche dentro: “Inizia con le nostre reazioni, le nostre paure, la nostra rabbia e la sofferenza che portiamo. Allo stesso modo, anche la pace comincia dentro di noi — nei momenti in cui scegliamo la pazienza anziché la frustrazione, la compassione invece del giudizio, e la speranza al posto della disperazione”. Per Mira: “Il conflitto è sempre esistito, e probabilmente sempre lo sarà. […] Immaginate un mondo con miliardi di persone, idee, culture e storie. Ma questo non rende la pace irrealistica. Questo rende la pace necessaria”. Aggiunge: “Nel tempo, ho compreso una cosa: la pace non inizia quando la guerra finisce. La pace inizia quando comincia la comprensione”, l’empatia con l’altro e l’ascolto.
Sono parole toccanti, molto potenti. Le due giovani donne, unite nelle loro differenze, hanno comunicato a pieno la speranza che sempre si possano perseguire con coraggio la giustizia e la pace, nel proprio piccolo. Una volta che tutto è finito, il silenzio della sala non è significato (solo) stanchezza: è stato la sensazione netta che qualcosa, in ciascuno dei presenti, si fosse rimesso in moto.