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Aldo Moro e le radici di una politica estera di pace

di Silvio Minnetti

- Fonte: Città Nuova

Intervista al professor Antonio Incampo, titolare a Bari della cattedra universitaria che fu ricoperta dal grande politico democratico cristiano.  Padre costituente e portatore di un pensiero complesso che ha contribuito agli accordi di Helsinki come scenario alternativo alla logica bellica in Europa

Helsinky 1 agosto 1975 : Presidente del consiglio Aldo Moro (sin) ill Presidente americano Gerald Ford insieme al ministro degli esteri Mariano Rumor prima del Summit europeo sulla sicurezza ANSA archivio NEG. 68204

Recentemente  sono state pubblicate le Lezioni di Filosofia del Diritto degli anni 1944 – 1945 del politico democristiano che è stato uno dei padri della Costituzione italiana.

Il messaggio di Moro si rivela sempre più attuale in particolare con riferimento al suo contributo alla Conferenza di Helsinki del 1975 che in piena Guerra fredda aprì un varco per un dialogo sulla sicurezza comune alternativa allo scontro bellico.

Abbiamo perciò sentito Antonio Campo per cercare di andare alle radici del pensiero dello statista pugliese.

 

Quale contributo ha dato Aldo Moro alla concezione  dello Stato e della società nella nostra Costituzione?

La pubblicazione delle lezioni tenute da Moro nei primi anni Quaranta è significativa non solo per comprendere la sua concezione dello Stato, ma anche – e ancor più – per offrire una chiave di lettura più approfondita della nostra Costituzione. Moro è chiamato giovanissimo ad insegnare Filosofia del diritto nel 1940 – si era laureato nel 1939 in Diritto penale – a seguito dell’arresto di Guido Gonella per attività antifascista. Tre sono le tesi fondamentali del suo corso di lezioni sullo Stato durante il pieno regime: (i) lo Stato è tutto da rifare; (ii) la sua ricostruzione non può più procedere dall’alto verso la società, ma deve muovere dalla società per giungere allo Stato; (iii) il fulcro della vita sociale è la persona. Come è noto, nel 1946 Moro è eletto deputato all’Assemblea costituente e farà parte della Commissione incaricata di redigere i principî fondamentali della Costituzione. Nelle lezioni baresi del giovane professore emergono già con chiarezza i valori fondanti della Repubblica, a partire  dalla dignità della persona.

Il ventinovenne Aldo Moro porta all’Assemblea costituente l’originalità del suo pensiero plastico, che va oltre il personalismo di Mounier. In che cosa consiste? Perché in esso la relazione  è centrale?

Nel pensiero di Moro confluisce la fertile stagione della filosofia politico-sociale francese degli anni Trenta, dalla “rivoluzione personalista e comunitaria” di Mounier all’“umanesimo integrale” di Maritain. Si tratta di autori formalmente proibiti durante il fascismo, ma comunque presenti nel dibattito più vivace del cattolicesimo organizzato della FUCI, che rappresenta il perno della formazione e dell’impegno intellettuale e sociale del giovane Moro. L’opera clandestina di Maritain era, tra l’altro, presentata su L’Illustrazione Vaticana da De Gasperi sotto lo pseudonimo “Spectator”. La riflessione morotea condivide con quella di Maritain la stessa fonte tomista. Lo si vede in una citazione chiave della visione politica della Summa Theologiae (I-II, q. 21, a. 4): “L’uomo non è ordinato allo Stato secondo tutto se stesso e tutti i suoi beni”. Lo Stato trae il proprio alimento dalla straordinaria ricchezza della persona, e quest’ultima, a sua volta, realizza pienamente se stessa proprio attraverso le molteplici relazioni sociali: dalla famiglia ai negozi privati, dalle imprese economiche alle associazioni sportive, alle comunità religiose.

In che senso possiamo  definire il pensiero di Moro un pensiero complesso e ispirato ad un’ontologia trinitaria,  tanto da non essere compreso al suo tempo? Sono state incomprese metafore come “convergenze parallele”  e  “terza fase”, ad esempio. 

La cifra essenziale di una robusta ontologia trinitaria coincide con la regola che anche la Fenomenologia contemporanea pone alla base dell’esistenza umana: il “riconoscimento” [Anerkennung] dell’Altro. Non c’è esistenza senza coesistenza, e non c’è coesistenza senza riconoscimento dell’alterità. La differenza fa parte dell’identità. Senza la differenza, l’identità di ciascuno è solo identità astratta. Secondo Moro è un’idea decisiva della vita etica dell’uomo. In tal senso, i cambiamenti in corso nella società non potevano essere semplicemente attribuiti ai progetti fanatici dell’eversione o alle deviazioni ideologiche di gruppi marginali. In essi occorreva riconoscere anche l’espressione di un vero disagio da ascoltare per prevenire gravi ingiustizie. È in questo contesto che si inserisce il vero progetto di Moro, spesso superficialmente ridotto all’idea di una “terza via” tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Ciò che è in gioco non è solo una strategia di alleanze politiche, ma la questione ben più profonda del riconoscimento appunto dell’altro.

Oggi ritorna la contemporaneità della visione di Aldo Moro. Cosa dice ai cristiani  impegnati in politica? Cosa significa essere “sale e lievito ” nella relazione? Come con lui le parole  confronto e inclusione  sono entrate nel vocabolario politico?

Per i cristiani, come per tutti i cittadini, oggi si pone un compito essenziale, che può essere espresso ancora una volta nei termini della Costituzione: la sussidiarietà orizzontale. Ognuno è chiamato a contribuire, con le proprie capacità e risorse, al perseguimento dell’interesse generale. La pubblica amministrazione, dal canto suo, deve sostenere e valorizzare il patrimonio di beni e iniziative presenti nella società civile. Al centro rimane sempre la persona: ciascuno non è soltanto una parte del tutto, ma rappresenta in sé l’intero. Da ciò discende l’irrinunciabilità di un rapporto di solidarietà, soprattutto verso quelle realtà che rischiano di restare ai margini dell’azione statale. La solidarietà familiare diventa per Moro la metafora più eloquente per descrivere questa nuova energia che orienta la convivenza al bene comune.

Possiamo affermare che il Moro di Helsinki e della politica estera di pace nel Mediterraneo è attualissimo?

Nella visione di Moro, l’Atto finale di Helsinki del 1975 rappresentava un’occasione storica per oltrepassare le contrapposizioni della Guerra Fredda, rafforzare la democrazia e costruire un’Europa più unita, fondata sulla tutela dei diritti inviolabili della persona e su una profonda umanizzazione della politica internazionale. È un messaggio che oggi risuona più attuale che mai. In un contesto segnato dal consolidamento di grandi aree di influenza continentale, alcune scelte appaiono inevitabili: tra queste, la necessità – ancor più di prima – di un’Europa forte e coesa. Il Mediterraneo, crocevia di grandi culture, si configura come lo spazio ideale per un progetto di dialogo decisivo in un mondo che aspiri davvero a essere multipolare.

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