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Domande su Gaza oggi, intervista a Lorenzo Kamel

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

La questione Israele-Palestina a partire dalla situazione attuale della Striscia di Gaza, la definizione di genocidio, il sostegno reale ad Hamas, il riconoscimento dei due stati come passo necessario per arrivare ad una pace vera.

Bambini palestinesi sfollati giocano davanti alle loro tende in una giornata piovosa nella città di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, 15 dicembre 2025. Secondo le Nazioni Unite, circa il 90 percento della popolazione, ovvero 1,9 milioni di persone a Gaza, è stato sfollato dall’inizio del conflitto.EPA/HAITHAM IMAD

Lorenzo Kamel, professore ordinario presso l’Università statale di Torino, titolare di importanti cattedre di Storia, con notevole esperienza di studi a livello internazionale, è autore di testi di riferimento per cercare di capire qualcosa di ciò che avviene in quella Terra che chiamiamo Santa.

Il suo ultimo testo, Israele- Palestina in trentasei risposte, è la base per qualsiasi confronto serio in materia tra persone che non si vogliono fermare a slogan e giudizi sommari.

In questa intervista in più puntate facciamo un viaggio di approfondimento che parte dalla situazione di Gaza per allargare lo sguardo ad uno scenario più ampio.

Qual è la priorità per la gente di Gaza oggi?

Il cittadino medio di Gaza non ha mai visto una montagna, la neve, le foreste, i fiumi o i laghi, un aeroporto, un aereo di linea o una nave. Nonostante queste limitazioni, secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, nel 2022 si registrava a Gaza un tasso di alfabetizzazione della popolazione pari al 98%, a fronte del 79% degli Stati Uniti. Dunque non parliamo di barbari, bensì di una popolazione disumanizzata. Umanizzarli, questa è la priorità.

Qual è la sua valutazione riguardo il recente piano Trump per Gaza?

È un piano che congela anziché risolvere il conflitto. Rende Gaza sufficientemente abitabile da scongiurare l’indignazione globale, ma sufficientemente controllata da rimanere soggiogata. Più nello specifico, Gaza è stata posta sotto il controllo esclusivo di Trump per due anni: la governerà attraverso un vago organismo chiamato “Consiglio di Pace”, i cui membri saranno nominati da Trump stesso.

Ma lo scorso 17 novembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha approvato una risoluzione (2803. Ndr.) che ha legittimato il piano Trump per Gaza? 

La risoluzione non fa alcun accenno a precedenti risoluzioni dell’ONU o a pregressi accordi israelo-palestinesi. Ad esempio agli accordi di Oslo, nei quali è scritto che Gaza e la Cisgiordania formano un’unica unità territoriale. O, ancora, alla risoluzione 476 (1980. Ndr.) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nella quale viene chiarito che “l’acquisizione di territorio con la forza è inammissibile” ed è ribadita “la necessità assoluta di porre fine alla prolungata occupazione dei territori arabi occupati da Israele dal 1967, compresa Gerusalemme”: si tratta di un semplice appello al ritiro, senza riferimento ad alcuna condizione.  La risoluzione 2803 va nella direzione opposta, rafforza la separazione tra Gaza e la Cisgiordania, e previene la possibilità che un qualsiasi attore politico palestinese possa avere un ruolo a Gaza. L’accenno a un “orizzonte politico futuro” in relazione all’autodeterminazione palestinese è talmente vago e arbitrario da essere privo di valore. Trump e Netanyahu avranno gioco facile a sostenere, quale che siano gli sforzi della controparte, che non si è fatto abbastanza. Ciò avverrà anche qualora i palestinesi divenissero la Norvegia del Medio Oriente.

In Italia e altrove si parla molto della questione del genocidio. Qual è la sua posizione in merito?

Il genocidio è un processo, non un evento singolo. Ciò che la Corte Internazionale di Giustizia ha affermato nel gennaio 2024 – quando ha ritenuto “plausibile” che alcune violazioni della Convenzione sul genocidio possano essersi verificate a Gaza – è prima di tutto un monito affinché si metta in campo ogni mezzo preventivo ogniqualvolta vengano individuati  dei segnali che vanno in quella direzione, dunque ben prima che si giunga a una decisione definitiva della Corte che, nel caso del genocidio di Srebrenica del 1995, è arrivata dopo 12 anni. Va anche detto che il tema centrale non è tanto legato all’enorme numero di morti e di civili coinvolti, bensì alla sistematica e pressoché totale distruzione della possibilità di vivere in quel luogo. C’è poi da considerare l’intento genocidiario, che nessuno può negare nel caso di figure di primo piano come il vicepresidente del Parlamento israeliano Nissim Vaturi, il quale ha invocato “la distruzione di Gaza dalla faccia della Terra”, aggiungendo: “I civili innocenti a Gaza? Non ci sono. Sono tutti feccia”. O, ancora, il ministro Amichai Eliyahu – che ha proposto di distruggere Gaza con una bomba atomica – e numerose altre figure di primo piano nel comparto militare, mediatico e politico israeliano. Si tratta peraltro di elementi ben visibili anche nei canti di non pochi riservisti israeliani che, prima di entrare a Gaza, hanno intonato canzoni contenenti espressioni come “non ci sono civili a Gaza”. In Italia, soprattutto a livello mediatico, è stato imposto a molti programmi l’ordine di non usare il termine e non parlare del tema del genocidio, che invece va affrontato con competenze e senza tabù né ideologie. Sarà poi la Corte Internazionale di Giustizia ad avere l’ultima parola.

L’istanza dei due stati viene criticata per la sua pratica irrealizzabilità, ma ritiene che sia necessaria per arrivare poi ad altre forme auspicabili di sistemazione politico istituzionale? 

Quando si costruisce un nuovo edificio, si parte sempre dal primo piano, non dal tetto. Il primo piano è l’autodeterminazione dei due popoli, poi si può pensare a federazioni e a tanto altro. Tuttavia, se l’Unione Europea e altri attori internazionali non esercitano pressioni concrete affinché ciò avvenga, anzi sono parte strutturale dei problemi in loco, ovviamente quello dei due popoli e dei due Stati diventa uno slogan, per giunta dannoso, perché permette alla parte più forte di continuare le proprie politiche sul territorio. Giova in questo senso ricordare che l’occupazione si distingue dall’annessione e dal colonialismo per la sua durata temporanea. Se dura da oltre mezzo secolo—e mira a cancellare il diritto all’autodeterminazione di un popolo—chi fornisce sostegno logistico, agevolazioni commerciali e armi ne è coinvolto.

Ma i palestinesi a Gaza sostengono ancora Hamas?

Hamas si è macchiato di crimini orribili. Ci sono video di miliziani che rincorrevano donne per centinaia di metri prima di sparargli a bruciapelo. Chi giustifica questi atti in nome della “resistenza” ne diventa complice. Ciò premesso, il 51 percento della popolazione nella striscia di Gaza ha meno di 16 anni: quando Hamas vinse le elezioni, nel 2006, più della metà degli abitanti non era neanche nata. In quelle elezioni Hamas prese il 45 percento dei voti in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. E ci riuscì in primo luogo in quanto si presentò come l’alternativa ad al-Fatah, ritenuta, non a torto, profondamente corrotta.

Si noti inoltre che tra fine settembre e 6 ottobre 2023, un sondaggio condotto da Arab Barometer (Università di Princeton) in Cisgiordania e Gaza mostrava che solo il 29 percento degli abitanti della striscia sosteneva Hamas. La larga maggioranza degli interpellati criticava in modo netto la leadership inaffidabile e le condizioni di povertà dovute anche alle politiche di Hamas. Non solo: una maggioranza altrettanto ampia si era espressa a favore dell’autodeterminazione di entrambi i popoli e contro le ideologie promosse da Hamas. Dal sondaggio emergeva dunque un chiaro e ampio rigetto legato ad Hamas, che oggi è più arduo verificare con sondaggi o elezioni.

Come si esce da questa situazione, che appare senza soluzione, tra nemici irriducibili?

Vorrei ricordare che il celebre generale israeliano Moshe Dayan sottolineò che “se vuoi fare la pace non parli con gli amici, bensì con i nemici”. Gruppi paramilitari come l’Irgun, guidato da Menachem Begin, e la Banda Stern, capeggiata da Yitzhak Shamir, si macchiarono di crimini orrendi, colpendo anche molti obiettivi civili palestinesi.

Entrambi diventarono in seguito primi ministri dello Stato di Israele. Agli occhi dei palestinesi, ancora oggi il governo israeliano viene visto e vissuto come un occupante permanente, che rifiuta esplicitamente l’autodeterminazione palestinese ed è accusato di crimini di guerra. E torniamo alle parole di Dayan, che valgono tanto per i palestinesi quanto per gli israeliani.

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