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La nostra umanità sta morendo con i bambini di Gaza

di Sara Fornaro

Sara Fornaro

Il patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa è a Gaza, dove neonati e bambini continuano a morire di freddo e di fame. Terribile anche la situazione in Cisgiordania: non c’è giustizia per i palestinesi. L’amministratore delegato del Patriarcato denuncia: non c’è alcuna intenzione di permettere alle persone che vivono a Gaza di ricominciare a ricostruire le loro vite con dignità

Palestinesi sfollati si fanno strada su un carro trainato da animali attraverso una strada allagata a seguito di forti piogge a Khan Younis, nel sud di Gaza. Ansa, EPA/HAITHAM IMAD

Li abbiamo visti morire di fame e sotto le bombe. Adesso stanno morendo anche di freddo. Manca una settimana al Natale, quando più di duemila anni fa un altro Bambino nacque proprio in Terra Santa. Secondo la tradizione, a riscaldarlo c’erano la paglia, le braccia della Mamma e il fiato caldo del bue e dell’asinello. A Gaza, in questi giorni, ci sono stati temporali incessanti e adesso è arrivato anche il freddo, ma Israele non fa entrare nella Striscia i materiali per proteggere le misere e gelide tende in cui i palestinesi sono costretti a vivere dopo la distruzione delle loro case.

E mentre noi stiamo preparando i doni per i nostri figli, Mohammed Khalil Abu al Khair non riceverà niente per Natale. Aveva due settimane ed è morto di freddo. Come lui, altri 4 bambini nelle ultime settimane. A Gaza oggi è arrivato il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme per i latini, accompagnato dal vicario, mons. William Shomali, e da una piccola delegazione, per una visita pastorale alla parrocchia della Sacra Famiglia, alla vigilia delle celebrazioni natalizie. Domenica, Pizzaballa presiederà la messa di Natale per una “comunità – si legge in un comunicato – che ha vissuto e continua a vivere tempi bui e difficili”.

Tende di famiglie palestinesi sfollate tra le rovine di edifici distrutti nel quartiere di Al Zaitun nella parte orientale di Gaza City Ansa/ EPA/MOHAMMED SABER

Anche il cardinale Pizzaballa può entrare a Gaza solo se autorizzato da Israele. Non è invece ancora riuscita a varcare i confini della Striscia la papa mobile regalata da papa Francesco ai palestinesi. Bergoglio l’aveva usata nel viaggio a Betlemme del 2014. Ribattezzata Veicolo della speranza, è stata attrezzata per portare cure mediche ai bambini di Gaza. È tutto pronto, ma il governo israeliano ancora non dà l’ok.

Ma com’è la situazione per i palestinesi dopo la tregua voluta dal presidente statunitense Donald Trump? Purtroppo, è peggiorata. Lo spiega Sami El-Yousef, amministratore delegato del Patriarcato latino di Gerusalemme. “Quando è stato dichiarato il cessate il fuoco  – ha scritto – c’era grande speranza che la guerra fosse finita e che fossimo sulla strada verso una soluzione pacifica. Man mano che i dettagli del piano di pace venivano resi noti, con il 58% di Gaza che rimaneva sotto il controllo dell’esercito israeliano con nuovi confini  e con il protrarsi degli attacchi violenti dei coloni, per non parlare della continua confisca di terre e dell’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, tra i palestinesi si è diffuso il sentimento unanime che non sia stata fatta giustizia e che l’obiettivo del mondo sia la gestione del conflitto piuttosto che la sua risoluzione”. Quindi, a meno che non ci sia un deciso cambiamento di rotta, la situazione resta tragica e, purtroppo, aggiunge El-Yousef, “sarà solo questione di tempo prima che esploda il prossimo conflitto”.

Un palestinese amputato cammina vicino alla moschea di Al Mahata distrutta nel quartiere di Al Tuffah, a est di Gaza City. Circa 1,9 milioni di persone a Gaza, quasi il 90% della popolazione, sono stati sfollati dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas nell’ottobre 2023, secondo le Nazioni Unite. EPA/MOHAMMED SABER

La tempesta che ha devastato la Striscia, commenta l’amministratore delegato del patriarcato, “avrebbe dovuto essere un grande sollievo per una regione che ha un disperato bisogno di acqua, ma la vista di Gaza allagata e dei circa due milioni di sfollati interni che vivono praticamente per strada senza un riparo adeguato è stata un duro promemoria che non è finita! La lunga lista di articoli vietati a Gaza, tra cui materiali per la costruzione di rifugi, attrezzature pesanti per la rimozione delle macerie, materiali da costruzione e la limitazione del numero di aiuti umanitari che possono entrare, dimostra solo che non c’è alcuna intenzione di permettere alle persone che vivono lì di ricominciare a ricostruire le loro vite con dignità”.

Le truppe israeliane demoliscono abitazioni palestinesi nella città di Nablus, in Cisgiordania. Ansa/ EPA/ALAA BADARNEH

C’è poi la situazione della Cisgiordania: “un recente viaggio in auto – commenta El-Yousef – ci ha ricordato quanto gli insediamenti ebraici si siano espansi negli ultimi anni e la vista delle barriere visibili all’ingresso di ogni città e villaggio palestinese, così come le centinaia di posti di blocco, ci hanno chiaramente ricordato che, mentre il mondo parla di porre fine alla guerra e di elaborare un piano di pace nella regione, la realtà sul campo è nettamente diversa e le sofferenze sono in continuo aumento”.

Fortunatamente, resta spazio per la speranza. Nelle scuole del Patriarcato, per esempio, migliaia di studenti fanno esperienza di dialogo interreligioso, tolleranza, perdono e convivenza pacifica. Per decisione del cardinale Pizzaballa, sono stati condonati milioni di vecchi debiti scolastici accumulati dagli studenti, per dare sollievo economico alle loro famiglie. Solo la fede, afferma El-Yousef, “porterà il nostro popolo a sviluppare la speranza necessaria per poter continuare a vivere nella nostra regione dilaniata dai conflitti”.

I patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, lo scorso luglio, a Gaza con la comunità della parrocchia del Sacro Cuore e il patriarca greco ortodosso, Teofilo III. Foto del Patriarcato latino di Gerusalemme

I parrocchiani di Gaza dove si è recato il cardinale Pizzaballa, spiega l’amministratore delegato del Patriarcato, “sono i nostri eroi, che svolgono il loro lavoro in silenzio ma con costanza, compiendo grandi sacrifici personali. Il nostro lavoro a Gaza non si limita al sostegno alla comunità cristiana. Dall’inizio della guerra abbiamo distribuito aiuti a più di mezzo milione di persone, fornendo generi alimentari, prodotti per l’igiene e medicinali. È incredibile ciò che questa piccola comunità cristiana di circa 650 persone è riuscita a fare per alleviare le sofferenze di così tante persone”.

Difficilissima la situazione lavorativa in Cisgiordania, a causa del crollo del settore dei pellegrinaggi e del turismo e della revoca dei permessi di lavoro per i palestinesi da parte di Israele. “Con centinaia di migliaia di persone che si sono aggiunte alle fila dei disoccupati, abbiamo intensificato i nostri sforzi. Tra questi – commenta El-Yousef – vi sono buoni alimentari, anticipi in contanti, sostegno per il pagamento delle bollette di base, sostegno per l’affitto, assistenza medica e sostegno per le tasse scolastiche, solo per citarne alcuni. Il lavoro più importante è quello relativo alla creazione di posti di lavoro e alla generazione di reddito”. Alla vigilia di Natale, “continuiamo a pregare affinché il processo che si è avviato porti alla pace reale di cui hanno tanto bisogno tutte le persone che vivono in questa Terra Santa e la considerano sinceramente la loro casa, siano essi musulmani, ebrei o cristiani”.

 

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