Quando parlo di rapporti umani, mi piace ricorrere a una metafora che trovo particolarmente evocativa: considerarli come un’avventura, un viaggio senza fine nell’ignoto che ci spinge a esplorare il mondo – fuori e dentro di noi – lungo il cammino inevitabile della nostra evoluzione di coscienza. Si può definire come un viaggio appassionante, benché attraversato da oscillazioni e cambi di rotta improvvisi.
Sfortunatamente, a pochi tra noi è stato insegnato ad avere fiducia nei rapporti e a coglierne l’insegnamento. Al contrario, siamo stati educati a comportarci nelle nostre relazioni in modo “appropriato”, a tentare di gestirle e, in generale, a controllarle affinché nessuno – né noi né l’altro – sia mai a disagio o infelice. Far sparire i disagi, risolvere i problemi, evitare i conflitti: queste sono le caratteristiche su cui concentriamo la nostra attenzione quando ci relazioniamo con la persona amata, un familiare, un collega o chiunque altro.
La nostra cultura è essenzialmente razionale e tesa al raggiungimento di un risultato, e questo si riflette anche nelle nostre relazioni, che vorremmo senza difetti ed efficienti. Leggiamo libri che spiegano come migliorarle, impariamo tecniche di analisi e comunicazione, metodi di risoluzione dei conflitti. Tuttavia le nostre relazioni non sono mai del tutto scorrevoli, non funzionano come vorremmo, e così – che si tratti di educare un bambino, parlare con i genitori, confrontarsi con un collega o riconnettersi con la persona amata – le cose possono diventare inspiegabilmente complicate.
In qualche modo, la nostra visione razionalistica ci induce a pensare che, se arrivassimo a scoprire il “funzionamento” di una relazione, non saremmo più infelici, incompresi o annoiati. Il nostro perfezionista interiore coltiva l’immagine di due persone mature, amorevoli e perfettamente assortite, capaci di sostenersi e comunicare con buon senso, risolvendo ogni problema sedendosi a parlarne in modo pacato, ascoltando e rispettando. Tutto senza mai ferire i sentimenti dell’altro, senza confusione, senza mettere in discussione i presupposti di base. Sono qualità ammirevoli, ma spesso si tratta di fantasie alimentate da film e pubblicità, che mostrano relazioni idealizzate.
In realtà, gli individui e i rapporti umani sono molto più complessi. Ognuno di noi è composto da molteplici aspetti, sé o sub-personalità, ognuno dei quali cerca di attirare la nostra attenzione per vedere riconosciuti e soddisfatti i propri bisogni. Di conseguenza, quando due persone entrano in relazione, a incontrarsi sono due mondi complessi che cercano di comunicare. Questi mondi interiori, composti dagli aspetti che formano la nostra personalità, non hanno quasi mai una visione omogenea delle cose: discutono costantemente, anche quando cerchiamo di comportarci con coerenza nel rapporto con l’altro. Anzi, quanto più il tema tocca la nostra emotività, tanto più grande sarà il disaccordo tra i sé che abitano il nostro mondo interiore.
Man mano che la nostra consapevolezza cresce, diventiamo capaci di accedere a un numero maggiore di sé: abbiamo più coscienza di ciò che avviene in noi e nella relazione. Questa crescita conferisce ai rapporti una nuova profondità e complessità, e dona a ciascuno di noi un maggiore senso di completezza. È questo il dono della relazione: il dono dei nostri sé. Se ci offriamo ad essa veramente, la relazione diventa un viaggio nelle profondità del nostro essere, un’occasione per guardare in noi stessi e conoscere le diverse parti che compongono il nostro mondo.
Dunque, se vissuta pienamente, la relazione ci obbliga a prenderci responsabilità del nostro mondo interiore e, per quanto caotiche o imbarazzanti possano essere alcune delle sue parti, ognuna ha un dono da offrirci.