Che Francesco avesse un temperamento artistico è noto. Amava la poesia provenzale – amore e cavalleria −, quando predicava faceva anche un po’ l’attore, nonostante la voce flebile. E ha composto quel Cantico delle creature, intensissimo, che è il primo testo poetico della nostra letteratura.
Ma lui, fisicamente, com’era? Bisogna staccarsi dall’immaginario collettivo, nato dal ‘300 in poi, che lo idealizza: è un asceta in preghiera o stigmatizzato, veste di marrone o di scuro, aria devota, non brutto (per nulla, bastino le opere di Tiziano, Carracci, Guido Reni, le terracotte dei Della Robbia). In verità, quelli che lo conobbero lo descrissero come un tipo piccolo, gracile, poca barba nera, orecchie attaccate alla testa, viso lungo, occhi bellissimi, saio grigio, mite ma talora anche duro.

Anonimo, Sacro Speco (Wikipedia)
Non quindi un bell’uomo: malaticcio e malato grave – la cecità – negli ultimi anni. Più il corpo si disfaceva e più l’anima cresceva. Scorriamo la galleria dei ritratti. Ecco l’affresco di anonimo verso il 1230 − Francesco è morto da poco − al Sacro Speco di Subiaco: eretto, longilineo, un cappuccio conico, un saio grigio, un cordone nodoso ai fianchi, gli occhi grandi e belli, poca barba, le orecchie un po’ sporgenti, indica uno scritto con la parola “pax”. Nessuna stigmata.

Margaritone d’Arezzo (Wikipedia)
Le stigmate appariranno però presto. Nella tavola di Margaritone d’Arezzo (Arezzo, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna, sul 1280) il santo è piccolo, incappucciato, timido, mostra le stigmate, porta in mano un libro (la Regola? il Vangelo?), diventa già una figura iconica. Un altro maestro ignoto invece lo raffigurerà invecchiato, magrissimo con un fazzoletto in mano ad asciugarsi gli occhi malati. Brutale, impressionante. Vero.

Cimabue, Assisi (Wikipedia)
Tocca però a Cimabue il compito di delineare una immagine che farà storia. Ad Assisi nella Basilica inferiore, Francesco è posto accanto alla Vergine col Bambino in trono fra gli angeli (1277-1280 circa). Veste un saio sul grigio, mostra le stigmate ed è in piedi sul fondo azzurro, colore tipico della dimensione celeste. Cimabue ce lo mostra quasi dal vero: tonsurato, magro, le orecchie a sventola, un asceta che ci guarda con occhi dolcissimi e profondi. Davanti a lui si rimane annichiliti, incantati. Un’immagine che Cimabue ripeterà nella tavola contemporanea a Santa Maria degli Angeli. Il piccolo uomo non è bello, ha il naso adunco, il volto lungo, forse è ancor più vero dell’altro ritratto in basilica. Ma è una personalità forte, lo si sente.
Assisi significa anche Giotto. Nella Basilica superiore le pareti dell’unica navata allineano 28 scene della vita del santo, esemplate sulla biografia ufficiale e papale di san Bonaventura. Francesco è un santo meraviglioso, miracoloso, che quasi non soffre, monumentale tra rocce, ambienti papali, costumi contemporanei. L’epos sacro di Giotto (1297-1303) è un capolavoro dell’arte, ma nasconde il Francesco problematico, tormentato, mite e anche severo. Il santo talvolta non ha barba, è un quasi chierico, solenne.

Giotto, Assisi (Wikipedia)
Ecco la poesia della Predica agli uccelli, la solennità nella scena davanti al papa che approva la regola, lui in ginocchio coi frati, sereno e sicuro. Un vertice è Il miracolo delle stimmate: il santo è in ginocchio a braccia aperte per ricevere il “dono” dal Cristo-serafino entro una montagna scoscesa. Solo, con frate Leone in un angolo lontano. Scena grandiosa che influenzerà gli artisti che verranno. Giotto riproporrà le storie francescane a Firenze, in Santa Croce, sul 1325 ma sarà altra cosa: l’ampiezza dei corpi, la bellezza del santo glabro, daranno una lettura “trionfale” alla vicenda di Francesco.
Nel ‘400 e ‘500 le immagini di Francesco si alternano: ora è un asceta glabro (Carlo Crivelli) ora un contemplativo (Angelico, Piero della Francesca), ora è un mistico immerso in una natura bellissima, un Cantico delle creature nella tavola dell’Estasi di Giovanni Bellini a New York (Collection Frick, 1490 circa), ora un fantasma in El Greco, ma non sarà dipinto da Leonardo né da Michelangelo.

Caravaggio, San Francesco in preghiera (Wikipedia)
Dopo il Concilio di Trento, Francesco diventa il grande penitente, con il teschio in mano o il grande stigmatizzato. Caravaggio lo ritrarrà più volte. Nel giovanile Stigmatizzato di Hartford (Inghilterra) il santo è sostenuto da un angelo nel tramonto. È svenuto, per dolore e per amore. Nella tela romana a Palazzo Barberini stringe un teschio fra le mani, veste un saio rattoppato, è concentrato nella massima povertà, sua e del Cristo.

Tra queste immagini ruota l’età barocca. Lo si nota nell’Estasi del veneziano Giambattista Piazzetta (Vicenza, Pinacoteca Civica, 1729): l’enfasi del trionfo mistico tra cieli aperti, l’angelo che asciuga le piaghe nel deliquio del santo. Ormai lontana quest’immagine dal piccolo uomo di Assisi. In seguito, tra ritorni al passato e sperimentazioni, ogni artista ne darà una sua versione.