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A Torino Orazio Gentileschi: “Un pittore in viaggio”

di Mario Dal Bello

- Fonte: Città Nuova

L’artista secentesco con 40 opere in mostra a Torino. Un maestro del barocco europeo, come Rubens e Guido Reni

Orazio Gentileschi, L’Annunciazione, Musei Reali Torino-Galleria Sabauda, GS Inv. 161, Cat. 469

A volte, un artista lascia un’opera che lo caratterizza in modo specifico, che lo “dice” meglio di qualunque altra. Che ne svela la personalità. Quando ai Musei Reali ci affacciamo nella sala dove troneggia L’Annunciazione di Orazio, anno 1623, spedita dal pittore da Genova, dove si trovava, al duca Carlo Emanuele I di Savoia per ingraziarselo, come accadrà, siamo immediatamente attratti da un qualcosa che riassume grazia ed eleganza.

Maria è bella come una donna di Raffaello, l’angelo in ginocchio ha un tocco greco classico: due figure aristocratiche, pudiche e gentili. Il tendaggio di seta rossa, il letto candido e sfatto, il manto giallo dell’angelo dalle ali piumate, la divina Colomba che entra dalla finestra aperta danno respiro, aria fresca, con tocchi di realismo che combaciano con l‘eleganza ritmata della composizione, in cui tutto è perfetto, silenzioso, intimo, calibrato in ogni gesto. I colori sono sontuosi, la luce limpidissima, è la religione della nobiltà d’animo, fastosa ed equilibrata fra realtà e contemplazione, religione immacolata, devozione esibita con grazia. Fascino, è la parola che”dice” questa tela e il suo autore. E’ l’arte raffinata di Gentileschi, pisano emigrato a Roma dove esordisce come pittore tardomanierista ed incontra Caravaggio. Certo, lui è diverso dalla figlia Artemisia e dalla sua pittura aggressiva.

Frequenta il Merisi, nel bene e nel male, ma non lo imita. Il suo Davide e Golia – grande soggetto caravaggesco – è un giovane forte che contempla il testone del gigante, stanco e sfinito ma soddisfatto, la tela spira serenità. Orazio è un pittore in movimento, da Roma sale nelle Marche, come farà anche Rubens. Lascia a Fermo la Visione di santa Francesca Romana (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 1615-1619), una religione fra vapori luminosi, rossi e bianchi caldi, armonia perfetta di sentimenti dove ogni cosa è al suo posto. Classicismo e naturalismo, volti puliti e volti maturi, visione e realtà.

In un soggetto biblico come Lot e le figlie (Vienna, Kunsthistorisches Museum, dopo il 1626), anch’esso un dono per i Savoia, Orazio tralascia l’aspetto drammatico e lo trasforma in una serata familiare di personaggi perfettamente disegnati – la formazione toscana − eleganti, composti con un colore di stampo veneto, bellissimo. Una “grazia” vicina alla sensibilità di un Domenichino o di un Reni. La sua Giuditta infatti del 1626 (Pinacoteca Vaticana) è l’opposto delle Giuditte di Artemisia così violente. L’eroina è furtiva e serena, è un teatro bello, una eloquenza sacra che è anche molto umana, avvolta dal colore miscelato alle ombre: gesti teatrali ma non enfatici, devozione.

Il pittore viaggia, va a Genova, sale e si ferma a Torino, passa a Parigi dove conosce il duca di Buckingam che lo invita a Londra. Vi morirà nel 1639. Pittore viaggiatore come altri, da Rubens a van Dyck, da Holbein a Velàzquez, lascia come eredità − e la rassegna lo dimostra − un’arte seducente per la raffinatezza, lo splendore perfetto della costruzione. Il rischio è di apparire talvolta un po’ vuota, ma l’eleganza e la grazia vi suppliscono ampiamente tanto che la mostra ci incanta.

Orazio Gentileschi. Un pittore in viaggio. Torino, Musei Reali. Fino al 3/26

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