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Persona e famiglia > Felicemente

Perché proprio a me?

di Dorotea Piombo

- Fonte: Città Nuova

Il pensiero: «Perché proprio a me?» rappresenta una delle domande più comuni e universali che nasce spesso in risposta a eventi dolorosi o ingiusti che la vita ci presenta. Può però essere utile riformulare la domanda, trasformando il “perché” in “come”.

Dolore
(Foto: Pexels)

Che cosa significa “Perché proprio a me?”. Questa domanda esprime un senso di spaesamento, ingiustizia e impotenza di fronte a un cambiamento o a una sofferenza percepiti come immotivati. Tale stato d’animo affiora sia nel caso di lutti, malattie, separazioni, perdita del lavoro o eventi traumatici, sia nei momenti in cui ci si sente abbandonati o fraintesi dagli altri.

Dietro il “Perché proprio a me?” si celano vari meccanismi psicologici. In primis, può emergere un atteggiamento di vittimismo, ovvero la tendenza a percepirsi costantemente perseguitati dalla sfortuna o dai torti degli altri, alimentando una visione impotente e passiva rispetto alla vita. Tale atteggiamento può avere origine dall’infanzia, da esperienze di frustrazione nell’attaccamento e da dinamiche familiari giudicanti. Spesso chi si pone questa domanda si trova in uno stato di isolamento emotivo, sentendosi meno compreso e più incompreso dagli altri. Se la domanda resta irrisolta e diventa un pensiero fisso, rischia di aggravare la sofferenza psicologica e di alimentare dinamiche depressive, ansiose o di chiusura in se stessi. Il rischio maggiore è quello di entrare in un circolo vizioso: l’individuo, sentendosi una vittima impotente, rinuncia a cercare soluzioni, finendo per rafforzare la propria percezione di fallimento e isolamento. Ma la bella notizia è che si può trasformare questa domanda da ostacolo paralizzante a occasione di crescita personale.

Spostare il focus dal “perché?” al “come?” permette di entrare in una posizione più attiva e costruttiva: “Come posso affrontare questa situazione?”, “Cosa posso imparare da ciò che è accaduto?”. Questo percorso aiuta la persona a riappropriarsi di una narrazione più potente ed efficace della propria storia, recuperando desideri, capacità progettuale e autocompassione.

Alcune strategie potrebbero aiutare a far evolvere in modo più funzionale questo tipo di pensiero:

  • Coltivare l’auto-compassione: imparare a prendersi cura delle proprie emozioni senza giudizio, accettando il fatto che siamo vulnerabili.
  • Chiedere aiuto: la richiesta di supporto psicologico rappresenta già un primo passo verso il cambiamento e la guarigione.
  • Elaborare la narrazione del proprio vissuto, perché condividere la propria sofferenza con qualcuno di fidato o in un percorso psicologico aiuta ad attribuire un nuovo significato agli eventi dolorosi.
  • Sostituire il “perché?” con il “come”: orientare le domande verso soluzioni concrete e realistici obiettivi di miglioramento personale.

A volte il cambiamento nasce dal silenzio, da quella pausa dell’anima in cui tutto sembra fermarsi, ma in realtà qualcosa di nuovo può prendere forma. La rinascita personale è il momento in cui il dolore smette di essere solo ferita e diventa radice; da ciò che ci ha spezzato, impariamo a fiorire nuovamente, più consapevoli, più veri, più vivi. “Perché proprio a me?” è una domanda autentica che merita ascolto, ma può essere trasformata in uno strumento di crescita e resilienza grazie all’elaborazione psicologica e all’aiuto clinico. Attraverso un percorso di consapevolezza, è possibile passare da una posizione di vittima impotente a una di protagonista attivo della propria vita, capace di trovare senso anche nell’esperienza della sofferenza.

 

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